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Aggiornato: 10 giugno 2025
Bissi non osava di dirmi una parola di conforto. Così passarono parecchi giorni. Entravo per pochi minuti, due, tre volte il giorno nella camera di Fausta, ripetendo lo sforzo di costringimento, senza sentirmi commovere dalla vista della creaturina attaccata al seno della madre beata di sentir scorrere abbondante nella bocchina, che suggeva il capezzolo, l'affluenza del latte.
Vi ero venuto per subitaneo e quasi inesplicabile capriccio: e non entravo in nessuna chiesa, non visitavo gallerie o musei, non mi fermavo davanti ai monumenti. Erravo per le vie con aria sbadata. Se non che, di tratto in tratto, mi accorgevo che tra le persone dei passanti ne ricercavo una, colei, che più non avevo riveduta da una settimana. Ne ero invasato.
Al postutto, facesse a suo piacere, io cercavo della casa e vi entravo ad ogni costo.
Stentavo un po' a infilare il soprabito: essa mi diceva: Ma perchè non se lo fa allargare che le è stretto assaettato? Entravo nella sua camera: Badi, mi diceva, di non inciampare, perchè è buio come in gola. Veniva un amico a chiedermi dei denari; essa capiva, e mi domandava: Le è venuto a dare una frecciata, non è vero?
Alle cinque precise entravo nel villino Steele, Il domestico annunciò il mio nome in un salotto terreno dalle finestre gotiche, cui le invetriate a piccoli ottagoni, dipinte, davano ben poca luce. Per un momento, venendo dal sole, non vidi nulla. La voce di Violet disse «buona sera» e distinsi lei che mi veniva incontro porgendomi la mano.
Vedevo come in sogno lo zio canonico che andava a dir messa, il gatto di casa che miagolava fregandosi alle sottane di Veronica, mentre essa apparecchiava la colazione, entravo nella mia cameretta deserta, aprivo il balcone, e stavo aspettando che la contessa Savina comparisse alla finestra dirimpetto, per pagare il suo debito, restituendomi il bacio.
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