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Questa lettera era del maggiore de' due fratelli, Attilio. L'amico ch'egli aveva incaricato d'una comunicazione verbale, fece quanto gli era commesso, ed era Domenico Moro, nato egli pure Veneto, luogotenente sull'Adria, e caduto martire in Cosenza co' suoi fratelli di armi e di fede.

Orribil furon li peccati miei; ma la bonta` infinita ha si` gran braccia, che prende cio` che si rivolge a lei. Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia, l'ossa del corpo mio sarieno ancora in co del ponte presso a Benevento, sotto la guardia de la grave mora.

A' suoi occhi si presentava un primo quadro: suo padre e sua madre, onesti contadini, nella loro casipola di Lungro di Cosenza, che dicevano il rosario, seduti attorno al focolare dove bolliva la minestra di patate: la morte l'aveva spazzati col suo soffio gelato, quasi tutt'e due a una volta, sicchè era restato orfano a dodici anni appena, sotto la tutela d'un suo zio, guardiano nella Sila dell'Acquafridda. Egli la vedeva la sua Sila, quell'immensa foresta di querci e di pini secolari, tetra, solitaria, e fredda, di cui conosceva i più cupi recessi, dove tendeva tagliole a ogni sorta di bestie selvatiche. Egli lo vedeva quel suo zio, un vecchio lupo che aveva perduto il pelo ma non il vizio, e aveva contribuito a spingerlo nella via delle scelleratezze, raccontandogli la vita dei banditi celebri, levandone le azioni alle stelle. Non lo poteva dimenticare; erano lunghe storie di sangue, di stupri, di rapine, che avevano lasciato un solco rovente nell'anima sua, l'avevano gettato in preda a fantasticherie selvagge, a cocenti brame d'emulazione. Sicchè qual meraviglia se a sedici anni servisse gi

A Cosenza, centro delle operazioni, nido di uomini generosi, il cui suolo, santificato più volte dal sangue di tanti martiri ed ove rosseggia tuttora di quello dei fratelli Bandiera e compagni, tutte le cure erano rivolte ad un unico scopo, distruzione della tirannia. A Nicastro come in altri punti della Calabria si riunivano uomini armati per dare la caccia ai borbonici, correre serrati a Reggio al grido di viva la libert

«Nel 1841, saggio di rivoluzione ad Aquila: otto condanne capitali. Nel 1843, una quindicina di ottimati di Napoli, sono cacciati in castel Sant'Elmo; ne uscirono poi, furono più tardi ministri, deputati, sono oggidì martiri, vale a dire alti funzionarii. Nel 1844, altro saggio di rivolta a Cosenza: vent'uno condannati a morte di cui sette fucilati ed un gran numero al bagno.

Sopraffatti dalle forze borboniche presso San Giovanni in Fiore il 19 giugno di quell'anno 1844, tratti a Cosenza dinanzi a una Corte marziale, Attilio ed Emilio Bandiera, Domenico Moro e i principali fra i loro seguaci, venivano condannati a morte il 24 di luglio e fucilati il appresso. La Gazzetta privilegiata di Venezia di martedì 6 agosto riproduceva dal Giornale di Napoli l'estratto della sentenza pronunciata ed eseguita. Non una riga di commento, non una parola di compianto pei tre veneziani che pur lasciavano qui tanta eredit

Il moto che segretamente dal 1815 in poi, e palesemente da tre anni, agita la nostra contrada, è moto nazionale anzi tutto. E dicendo nazionale io non intendo moto puramente d'indipendenza, riazione cieca e senza nobile intento di razza oppressa contro una razza straniera che opprime. Nel XIX secolo, la voce nazione suona ben altro che una emancipazione di razza. Il grido di Viva Italia! che i Bandiera e i loro fratelli di martirio in Cosenza cacciarono lietamente morendo, era grido di libert

«Se il Pastor di Cosenza, che alla caccia »di me fu messo per Clemente, allora »Avesse in Dio ben letta questa faccia, »L'ossa del corpo mio sarieno ancora »In co' del ponte presso a Benevento, »Sotto la guardia della grave mora. »Or le bagna la pioggia e move il vento »Di fuor dal Regno, quasi lungo il Verde, »Ove le trasmutò a lume spento

Intanto i malumori in Italia erano più vivi che mai. Il fermento sopito verso la fine del 1843, s'era nel 1844 risvegliato più minaccioso, e dal centro s'era steso al mezzogiorno della penisola. In Calabria, una sommossa armata, tentata e repressa a Cosenza, avea lasciato gli spiriti eccitati e vogliosi di ritentare. La Sicilia, paese sistematicamente angariato da ogni sorta di vessazioni e d'espilazioni, fremeva rivolta, e, popolata di gente più avvezza all'opre che alle parole, l'avrebbe osata, se in una citt

Poscia ch'io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, piangendo, a quei che volontier perdona. Orribil furon li peccati miei; ma la bonta` infinita ha si` gran braccia, che prende cio` che si rivolge a lei. Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia,