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Mainò, messere; rispose Spinello, chinando umilmente la fronte; ma sarei felice di diventarlo, sotto la vostra disciplina. Perchè no? Vediamo anzi tutto che cosa sai fare. Un O, come Giotto? Una linea come Apelle? Ohimè, maestro, assai meno. Disegno alla meglio, o alla peggio, come vi parr

In Grecia Apelle e Fidia Le chieser marmi e tele; Ella insegnò la linea Divina a Prassitele, E a Socrate e a Demostene La possente parola, E ad Eschilo la scuola Delle passioni aprì. Le mani d'Aristotile Ne composer la storia; La chiamò Saffo, in lagrime, Amor; Pericle, gloria; Inspirò l'odi a Pindaro; Seguì Alcibiade a festa; E gaja dalla testa D'Anacrëonte uscì...

Costantin, poi che 'l Tevero gl'increbbe, portò in Bisanzio il prezioso velo: da un altro Costantin Melissa l'ebbe. Oro le corde, avorio era lo stelo; tutto trapunto con figure belle, più che mai con pennel facesse Apelle. 85 Quivi le Grazie in abito giocondo una regina aiutavano al parto: bello infante n'apparia, che 'l mondo non ebbe un tal dal secol primo al quarto.

1 Timagora, Parrasio, Polignoto, Protogene, Timante, Apollodoro, Apelle, più di tutti questi noto, e Zeusi, e gli altri ch'a quei tempi foro; di quai la fama (mal grado di Cloto, che spinse i corpi e dipoi l'opre loro) sempre star

4 Astolfo, re de' Longobardi, quello a cui lasciò il fratel monaco il regno, fu ne la giovinezza sua bello, che mai poch'altri giunsero a quel segno. N'avria a fatica un tal fatto a penello Apelle, o Zeusi, o se v'è alcun più degno. Bello era, ed a ciascun così parea: ma di molto egli ancor più si tenea.

Pareva, fatto ver, sogno d'artista Da ingelosir Pigmalïone o Apelle; E gli occhi suoi parean due nere stelle Senz'ombra trista. Pieno d'incanto era il suo bel sorriso, Fatte pei baci le sue labbra rosse, Armonïose le leggiadre mosse, Fulgido il viso. La sua tunica bianca a liste aurate Lasciava nude le marmoree braccia; Sul volto suo non si vedeva traccia D'ore passate.

S'impadronisca della cavata e del filo diritto, della parata di picca, del copertino e della botta sul tempo. Vada anche al Valentino, a fare ogni giorno i suoi dieci o dodici colpi di pistola, tanto per tenere il pugno in linea. Nulla dies sine linea, lo raccomandava anche Apelle. Ariberti non potè trattenere un sorriso, vedendo Apelle chiamato a far testo in materia di pistola.

Ma io ho spinto più oltre la rettorica menzognera. Ho espresso degli entusiasmi per le statue di Fidia e di Prassitele... ho arso il mio granello di incenso al genio di Zeusi e di Apelle... Li avete visti mai, questi insigni capolavori dello scalpello e della tavolozza degli artisti greci? anche in sogno. Come avvenne che spesso li abbiate ricordati ed ammirati con tanto entusiasmo?

Fra pochi istanti avrebbe veduta madonna Fiordalisa. Ma come avrebbe osato posar gli occhi su lei, dopo quel doloroso discorso di mastro Jacopo? Fortunatamente, dalla tranquilla accoglienza che Fiordalisa fece al futuro Apelle, gli fu agevole intendere che mastro Jacopo non aveva creduto opportuno di dir nulla alla sua bella figliuola. E Spinello gliene fu grato, perchè, libero da ogni soggezione, avrebbe potuto guardare in volto Fiordalisa, contemplarla a sua posta, e pensare tra con gioia infantile: tu non sai, bambina, tu non sai quel che so io; sarai mia, bella creatura, sarai mia; il pegno della vittoria è l

O h qual mi crebbe ardente e cruda face N el petto allor che gli occhi, anzi due stelle, I o non piú vidi, e 'l raggio lor mi sface! M i sface il raggio lor; e pur senz'elle I' non vivrei giammai, perché non pinse M ai Zeusi un bel volto o 'ntagliò Apelle. E cco, donna, il martír, ch'al cor s'avvinse: R itrassimi da voi, ma non lo volle C olui che 'n me sovente ragion vinse.