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Aggiornato: 23 giugno 2025


Perdona... È tardi, e sono così stanca... Non mi sento neanche benissimo... Torno a patire delle mie insonnie e non dormo che a forza di cloralio. Il barone Venosti Flavi si decise ad andarsene. Sans rancune soggiunse la nipote. Egli tentennò la testa. Non m'aspettavo questo rifiuto da te.

Vengo da casa di mia nipote soggiunse il barone. Ah! fece Vergalli imporporandosi in viso. È molto deperita riprese Venosti Flavi. ... forse... balbettò il conte. E si ricordò che al primo momento era parsa tanto deperita anche a lui, si ricordò che l'aveva supplicata di chiamare un medico. Poi non aveva insistito, assorto com'era nelle proprie sofferenze, nel proprio dolore.

Basta, Venosti, basta, per amor del cielo supplicò Mario Vergalli, a cui ognuna di quelle parole era una stilettata nel cuore. Se le ricordava le reticenze delle donne di servizio, pur così affezionate alla loro padrona da volerla vegliare esse medesime, se le ricordava ieri, quella mattina stessa, al cospetto dei medici, quando la Teresa respirava ancora, benchè non parlasse, non riconoscesse nessuno e fosse ormai agli estremi. E i medici se li ricordava comunicantisi i loro dubbi, spianti, in nome del dovere professionale, il bel corpo adorato ch'egli non aveva potuto difendere dalle curiosit

Son discorsi vani, caro Venosti interruppe il conte Mario. D'accordo... forse oggi non la sposereste più, nemmeno se fosse lei a pregarvene... Credo tuttavia ch'ella non durerebbe fatica a trovare un marito... È ricca, è piacente, ha trentott'anni... figuriamoci se non troverebbe... E perchè no il sottotenentino di vascello? saltò su il Vergalli con amara ironia.

Il commendatore barone Amedeo Venosti Flavi, zio materno della Teresa Valdengo, console di un insignificante Staterello la cui rappresentanza senza recargli il minimo incomodo gli permetteva di avere uno stemma sulla porta di casa e d'indossare un'uniforme nelle cerimonie ufficiali, era un uomo di sessant'anni passati, alto, piuttosto corpulento, coi baffi e i capelli tinti e coi denti posticci. A malgrado di ciò, per la sua et

Farò rifonder della legna. Non vi disturbate.... Io non soffro il freddo. Caro Vergalli riprese il barone dal momento che avete l'intenzione di rimanere, non potete star in una Siberia. Suonò il campanello e ordinò di riaccendere il fuoco. Quando il servo se ne fu andato, Venosti tirò fuori un dispaccio e lo gettò in un ampio vassoio d'argento ove c'erano altri telegrammi e biglietti.

Buona sera rispose questa, ricambiando la stretta in modo da lasciargli comprendere che gli era grata del sacrificio. Di Reana la interrogò con lo sguardo; ella fece un gesto che significava: Siamo intesi. A domani. Indi sonò il campanello. L'ufficiale salutò freddamente il commendatore Venosti Flavi ed uscì.

Il barone parlava per conto proprio, o per incarico della Teresa? E come mai la Teresa si sarebbe confidata a un parente del quale non aveva nessuna stima, avrebbe scelto lui a intermediario d'una riconciliazione col suo amico più caro?... A ogni modo, poichè Venosti Flavi parlava del solo argomento che potesse interessare Vergalli, questi stava tutt'orecchi a sentirlo.

Ella non tentò nascondersi; anzi con una mossa altera sollevò il velo. Il barone Venosti Flavi vide la coppia che gli passava accanto, ma finse di non conoscerla. Sciocco! borbottò fra i denti la Teresa. Poi affascinata dallo spettacolo che si offriva ai suoi occhi, disse all'amante: Non ci badare... Guarda, piuttosto, che magnificenza!

Uno dei mille è un'iperbole, lo so.... Ma la frase non è mia. A ogni modo, è noto urbi et orbe che tra Venosti Flavi e la Marvesi ci fu del tenero. Sar

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