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Aggiornato: 12 giugno 2025
E che faceva a Venezia Carlo Tittoli? Era forse tornato alla sua antica utopia, traeva a cercare nuove afflizioni vicino alla donna, per la quale gi
Egli aveva veduto il Tittoli una volta sola: quando cioè l'amico d'infanzia di Antonietta aveva consentito a visitarlo in via de' Renai, poco prima della fuga della ragazza da Firenze, come ricorder
Antonietta, non disse nulla quel giorno, nè il giorno appresso, a Roberto, volle tenergli il segreto sull'incontro, che forse a lui poteva spiacere. Ma, nel momento in cui vide il Tittoli così severo, così cupo, così contraffatto dall'angoscia, da tutte le torture cui aveva dovuto andar incontro, si era sentita tutta rabbrividire. Le era entrato in cuore il più funesto presentimento.
Il suicidio del Tittoli era collegato nel modo più strano dalla pubblica voce, sebbene inconsapevole, a qualche atto della vita passata di Antonietta. La sera stessa in cui il cadavere del Tittoli fu condotto al cimitero, Roberto prese in disparte Lina e le domandò molto concitato: E tuo fratello... l'assassino che mi ferì... è morto? La conversazione fra Roberto e Lina fu lunga.
Antonietta non gli aveva naturalmente parlato mai della scena accaduta fra essa e il Tittoli nella osteria di campagna, allorchè egli si era ferito dinanzi a lei, e le aveva annunziato la sua risoluzione di morire. Ma la scena le tornava in mente tale e quale l'aveva veduta due anni prima, nel momento in cui stava inginocchiata accanto al cadavere di Carlo.
Cercava d'illudersi: forse l'uomo, che aveva veduto, non era il Tittoli.... Ma no, lo aveva veduto troppo bene.... aveva dinanzi agli occhi quella fisonomia così triste.... Gli sguardi di lui si erano incontrati co' suoi, e avevano una tale espressione di rammarico, avevano gettato lampi di gelosia nel vederla accanto al rivale fortunato!
Carlo Tittoli era vestito a lutto, certo aveva perduto sua madre! Egli aveva dunque bisogno di consolazioni. Due lacrime calde, grosse, le rigarono le guancie, uno spasimo interno le contraeva il volto. Si morse il labbro inferiore, chinò la sua bella testina fra le mani, i singhiozzi la soffocavano.
Però gli entrò in cuore che Lucertolo potesse esser l'autore del furto. Ma come accusare un agente della polizia? e con quali prove? E avesse pure avuto le prove, egli non era propenso a procacciarsi nuove lotte, crearsi nuovi imbarazzi. Carlo Tittoli tenne in sè il vago sospetto, e si chiuse di nuovo nelle sue tristezze.
Lucertolo ripeteva la storia di quello che gli era capitato la notte della fuga di Antonietta dal Ghetto, dopo che nell'androne aveva esploso la pistola verso la stanza in cui si trovavano Antonietta, Carlo Tittoli e l'ebreo Isacco.
Lucertolo però non aveva raccontato a che bel rischio egli fosse sfuggito. Carlo Tittoli, accortosi che sua madre prima di morire era stata derubata, aveva fatto disegno di scuoprire il colpevole. Andò a interrogare la Nencia.
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