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Aggiornato: 13 giugno 2025


TEODOSIO. Io non so che tu dica: io sono il vero Teodosio e questi è il vero Eugenio mio figliuolo. LAMPRIDIO. Voi fingete cosí, ma non sète quelli che dite. Andate a ritrovare il capitano e ditegli da mia parte che è stato tardi, ché il vero Eugenio è prima gionto del suo falso. EUGENIO. Chi è questo Eugenio? LAMPRIDIO. Io son desso. EUGENIO. Di chi sète figlio?

Inno a Venere. Un po' di storia. L'editto di Teodosio. Senza braccia Il nome dell'autore. Induzioni ragionevoli. Ho detto la mia. Una massima di Lisippo. Imperatori romani. Messalina.... col bambino.

SENNIA. Non pigliar a tristo augurio, figliuol mio, ch'io pianga, ché l'allegrezza ch'io sento di tua venuta, tanto piú cara quanto men la sperava, mi fa cader le lacrime dagli occhi. LAMPRIDIO. O madre, io ancora non posso tenermi: sento il cuor liquefarsi di tenerezza. Raguagliami: è viva Beatrice mia zia di che molto si ricordava Teodosio mio padre?

Quella Venere, evidentemente, era stata calata entro la buca da qualche divoto, ai tempi in cui prevaleva la religione ufficiale di Costantino, e forse qualche anno dopo il famoso editto di Teodosio, quando i vescovi andavano attorno, armati del braccio secolare, ad abbattere i simulacri, a diroccare i templi della vecchia religione pagana. È noto che la più parte delle antiche statue furono conservate alla posterit

LAMPRIDIO. Chi son questi che stanno dinanzi la porta nostra? MASTICA. Son poveretti che devono dimandare la elemosina. TEODOSIO. Olá, o di casa! MASTICA. Ché batti? vuoi tu spezzar questa porta? TEODOSIO. È forse tua madre, ché temi che sia battuta? MASTICA. Non ti morrai di fame tu per non essere importuno e prosontuoso. TEODOSIO. È importuno e prosontuoso chi batte le porte di casa sua?

EUGENIO. Almeno faremo che non la goda piú: andiamo alla giustizia, facciamolo carcerare, e quivi provi come sia me. TEODOSIO. Andiamo per mostrar che facciamo alcuna cosa; e poiché abbiamo perduto le robbe e le carni, poco sará se perderemo questo poco di vita che n'avanza. LAMPRIDIO. Mai comincia una sciagura che non ne seguano mille, ché la fortuna non si contenta d'una sola.

Teodosio togliendosi un giorno Eugenio in braccio per ischerzo, andò a diporto ad una sua villa a Pausilippo; e quivi fur presi di notte da una galeotta di turchi, e da quell'ora non mai piú se ne è potuto saper novella se sian vivi o morti.

LAMPRIDIO. Partitevi di qui: andate a gridare al mercato. EUGENIO. Andremo a gridare dove s'ascolteranno le nostre ragioni e si scopriranno l'altrui vigliaccherie. SENNIA. Lasciategli andare, Eugenio mio, che giá si partono. TEODOSIO. Ricordati, moglie, che quando mi desti le tue primizie, mi desti il possesso ancora della vita e del tuo core.

TEODOSIO. Andiamo, figlio, che difesa possiamo far noi quasi nudi e disarmati? EUGENIO. Come posso patir questo torto, o padre? TEODOSIO. Ove è forza, è bisogno che ceda la ragione: ci perderemo la vita. EUGENIO. Quasi ch'io stimi vita dove si tratta d'onore. Su, andate per li fatti vostri. EUGENIO. Questi sono i fatti nostri, cercar i parenti e la casa nostra.

Ma i giureconsulti di Bologna non l'intendean cosí; non facevano imprescrittibili se non i diritti del sacro romano imperio ai tempi di Teodosio e Giustiniano.

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