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mi darebbe fastidio che 30 oboli siano la settima non la sesta parte di 210, perché almeno sono la sesta di 180 residui; ma pare difficile a capire come a Giustiniano tornasse utile, «quod sibi fore compendio vident», il cosí diminuire il valore alle monete d'oro.

La critica di que' tempi, debole troppo, non bastò sempre a preservarli dalla cieca imitazione, alla quale pareva che dovesse indurre tutti gli intelletti educati alle scuole la maniera con cui spiegavasi la Poetica d'Aristotile, considerandola come un corpo di leggi assolute ed obbligatorie quanto quelle di Giustiniano.

E lodinsi pure tutti questi principi codificatori: le pubblicazioni di codici sono sempre benefizi a' popoli che han bisogno di conoscere quanto piú facilmente le leggi buone o cattive onde son retti. Ma non diasi ad essi, nemmeno a Giustiniano, quella lode di legislatori veri, che Machiavello pone sopra tutte le umane.

Pare che fra questi pericoli Amalasunta avesse giá trattato, ed or certo Teodato trattò coll'imperatore greco per averne aiuti o rifugio. Imperatore era allora Giustiniano, il gran raccoglitor di leggi e codici romani, il gran riconquistatore di molta parte d'Occidente.

Attorno al viso si delineava egualmente un'aureola circolare, di color rosso porpora, cosparsa di punti bianchi, simili a perle. La figura si staccava su di un fondo d'oro, e al disotto si leggeva in caratteri romani il nome di Giustiniano. Un ritratto interessantissimo insomma. La bella basilica di Sant'Apollinare fu compiuta quasi alla stessa epoca di San Vitale.

Quegli artisti mi offrirono, come ricordo, un oggetto che non si trova certo facilmente negli albums di fotografie: il ritratto di Giustiniano, in formato di carta da visita. Essi avevano trovato un'imagine di questo imperatore in certi pezzi di mosaico, che dovevano aver adornato un tempo il muro interno, situato al disotto della porta di Sant'Apollinare l'avevano pulito e fotografato.

E Giustiniano imperatore si gloria piú di aver ridotto in ordine, quale fu un tempo, la legge che di qualsivoglia altra cosa da lui fatta, affermando che non saria bastato saper umano senza il particular favore divino.

Trasportati a Cartagine, caddero nelle mani di Belisario e furon da questi riportati a Bisanzio. Gli ebrei allora, come afferma Procopio, li reclamarono all'imperatore Giustiniano, che li fece portare in una chiesa di Gerusalemme. Strana storia, invero, quella di questi tesori del Tempio, portati altra volta a Roma da Tito!

Morto Giustiniano nel 565, succedutogli Giustino molto dammeno, questi richiamò Narsete; dicesi, perché non mandava danari in corte; onde sarebbe a dire la corte lontana peggiore che il governatore vicino, e richiamato questo per non aver saputo farsi abbastanza cattivo: sarebbe insueto ciò nemmeno.

Ma i giureconsulti di Bologna non l'intendean cosí; non facevano imprescrittibili se non i diritti del sacro romano imperio ai tempi di Teodosio e Giustiniano.