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Se ne vedono di frequente per Tangeri. Son uomini alti e robusti; molti vestiti d'una cappa oscura, ornata di nappine di vario colore; alcuni col viso segnato di rabeschi gialli; tutti armati di fucili lunghissimi, di cui portano la guaina rossa attorcigliata intorno alla fronte in forma di turbante; e vanno a gruppi, parlando a voce bassa, col capo chino e gli occhi all'erta, come drappelli di bravi che cerchino la vittima.

V'è a Tangeri un mostro, una di quelle creature su cui non si può fissare lo sguardo, e che gettano per un momento anche nell'anima d'un credente lo sgomento del dubbio. Si dice che è una donna; ma non sembra donna uomo. È una testa d'urango, mulatta, coi capelli corti ed irsuti, uno scheletro colla pelle, coperta di cenci neri, quasi sempre distesa come un corpo morto nel mezzo della piazzetta, o seduta in un angolo, immobile e muta come un'insensata, quando non la molestino i ragazzi, ai quali si rivolta urlando o piangendo. Può aver quindici anni, può averne trenta: la sua mostruosit

La mattina dopo uscii per andarmi a presentare al nostro incaricato d'affari, Comm. Stefano Scovasso. Egli non avrebbe potuto dirmi che non ero puntuale al convegno. Il giorno otto d'aprile, a Torino, avevo ricevuto l'invito, coll'annunzio che la carovana sarebbe partita da Tangeri il giorno diciannove: la mattina del diciotto mi trovavo alla porta della Legazione. Non conoscevo di persona il Comm. Scovasso; ma sapevo di lui qualche cosa, che mi dava una gran curiosit

Era il vero tipo del ricco moro, molle, elegante e ossequioso; e dico ricco, perchè si diceva che possedesse più di trenta case a Tangeri, quantunque in quel tempo i suoi affari fossero un po' imbrogliati. Poteva avere una quarantina d'anni.

Il cuoco, al quale tutti gli spettacoli veduti da Tangeri a Fez non avevano strappato mai altro che un sorriso di profonda commiserazione, si mostrò generoso coll'Imperatore. Questo dove, naturalmente, era Torino. Luigi, il calafato, benchè napoletano, fu più laconico.

Malgrado però[tn79] la vita varia e nuova che menavamo a Tangeri, s'era tutti impazienti di partire, per poter essere di ritorno nel mese di Giugno, prima dei grandi calori. L'Incaricato d'affari aveva mandato un corriere a Fez ad annunziare che l'ambasciata era pronta; ma dovevano passare almeno dieci giorni prima che fosse di ritorno. Notizie private dicevano che la scorta era in viaggio; altre che non era ancora partita; eran tutte voci incerte e contraddittorie, come se quella Fez sospirata non fosse a duecento venti chilometri, ma a duemila miglia dalla costa. E questo, da un lato, ci piaceva, perchè quella passeggiata di quindici giorni prendeva così, nella nostra immaginazione, l'apparenza d'un lungo viaggio, e Fez l'attrattiva d'una citt

Se sia ancora viva, non si sa. Certo è che viveva ancora venti anni sono, e che la vide nel suo romitaggio il signor Narciso Cotte, impiegato al consolato di Francia a Tangeri, che ne ha raccontata la storia.

Messo in sella dal suo ufficiale, disse ancora una volta: La pace sia con voi! e partì di galoppo, seguito dal suo piccolo stato maggiore incappucciato. Quella stessa sera vennero parecchi malati a cercare il dottore, il quale col dracomanno Salomone e un drappello di soldati era partito poco prima, per la via d'Alkazar, alla volta di Tangeri.

Giunto davanti a noi si fermò per dire che veniva da Fez e che andava a Tangeri. L'Ambasciatore gli diede una lettera per Tangeri ed egli riprese il suo cammino a passo frettoloso.

Il terzo personaggio fu il cuoco dell'Ambasciatore, che ci portò il caffè; un piemontese pretto, tagliato tutto d'un pezzo in un pilastro dei portici di piazza Castello, il quale da Torino, ch'egli chiamava il giardino d'Italia, era piovuto, pochi giorni prima, a Tangeri, e non aveva ancora ritrovato stesso. Il pover'uomo non faceva che esclamare: Oh che paese! Oh che paese!