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Aggiornato: 21 luglio 2025
Falco ritornato alla sua rupe mandò i suoi compagni sulle sponde destra e sinistra del lago al di qua di Bellaggio, ordinando loro, ed in ispecie al Negretto il Tornasco, di recarsi in tutte le terre prossime alla spiaggia a spiare se vi fossero rimasi in esse camicioni rossi, come ei diceva, ossiano soldati ducali, e quindi recargliene le nuove il domane in Nesso, ove egli giunto salì bentosto al proprio casolare.
Com'ei scornato e mesto fe' ritorno al campo, tanto furor prese i soldati, assetati della vasta preda della citt
Dopo tutto, un piccolo atto di debolezza non è così grave peccato da non meritare l'assoluzione. A quanti giovani soldati, il primo giorno di combattimento, non avvenne di salutare le palle con un moto involontario del capo? Sono piccolezze che non provano nulla.
Quale spettacolo! quei soldati austriaci che partivano erano rientrati dopo l’assedio fra lo squallore dei morti nella citt
Non più donne di cui i soldati debbano temere «le braccia in fiore che s'intrecciano alle ginocchia il mattino della partenza»; donne infermiere che perpetuino le debolezze e le vecchiezze, addomesticando gli uomini pei loro piaceri personali o pei loro bisogni materiali!
Lode a Dio! Sappiate dunque che fra coloro i quali seguirono Roberto all'invasione di Calabria era un tal Giselberto Squassapostierle. Cavaliere senza macchia, aveva sposata una nipote di Tancredi d'Altavilla. Egli era primo alle scalate, ultimo nelle ritratte, avveduto nei consigli, disinteressato nel partaggio delle spoglie, ed amato e venerato dai soldati, i quali, alla presa di Gerace, gli dettero sopranome di Squassapostierle, perchè di un colpo di mazza sgangherò una porta di soccorso. Questo vecchio ed onorando cavaliero aveva una figliuola, una perla di figliuola, cui la madre mise a luce e morì. Il padre se l'aveva allevata sul Pavese e l'amava quanto non si può dire. Quella creatura era bella sovranamente e di una soavit
In queste spedizioni, i capi non si facevano mai vedere: i soldati, in parte travestiti, erano presi talvolta per malandrini ordinari, altre volte per bande forastiere, che a quell'epoca innondavano l'Italia.
Si vedeva ch'eran soldati regolari: si raggruppavano e si scioglievano con più ordine di tutti quelli che avevamo visti fino allora. Facevano un nuovo gioco. Uno si slanciava innanzi a briglia sciolta; un altro dietro subito ventre a terra.
Dalle pagine di Libanio esce fuori un’imagine attraente e geniale. Ardente di spirito, appassionato dei più nobili ideali, generoso ed eroico, il giovine imperatore ci appare veramente degno dell’ammirazione e dell’amore di cui lo circondavano i suoi amici, i suoi maestri, i suoi soldati. Certo, Giuliano era un uomo squilibrato. La sua fantasia bollente e disordinata si univa, in modo singolare, alla pedanteria del retore e del formalista. Ma c’è in lui un soffio eroico, qualche cosa di giovanilmente baldanzoso, un sentimento vivo della civilt
Il vecchio caid balza in piedi atterrito e sente la pesta precipitosa d'un cavallo che s'allontana. Chiama i soldati, che accorrono in furia, e grida: Il mio cavallo! Il mio cavallo! Cercano il suo cavallo, il più superbo animale del Garb: è sparito. Corrono alla tenda di Sid-Alì: è steso in terra morto, con un pugnale confitto nell'occhio sinistro. Il caid scoppia in pianto: i soldati si slanciano dietro al fuggitivo. Lo intravvedono, come un ombra, per qualche momento; lo perdon di vista; lo rivedono; ma egli va come la folgore, e sparisce ben presto per non più ricomparire. Continuano a inseguirlo, nondimeno, per tutta la notte, sin che arrivano a un bosco fittissimo, dove si arrestano per aspettare che aggiorni. Appena aggiorna, vedono lontano il cavallo del caid, che viene verso di loro spossato e insanguinato, riempiendo l'aria di nitriti lamentevoli. Pensando che Arusi sia nel bosco, sguinzagliano i cani e s'avanzano colle armi nel pugno. Dopo un breve cammino, scoprono una casuccia diroccata, mezzo nascosta fra gli alberi. I cani v'accorrono e s'arrestano. I soldati li seguono in punta di piedi, arrivano alla porta, spianano i fucili... e li lascian cadere in terra gettando un grido di stupore. In mezzo a quelle quattro mura, stava disteso in terra il cadavere d'Arusi, e accanto a lui una bellissima donna, vestita splendidamente, coi capelli sciolti, la quale gli fasciava i piedi sanguinosi, singhiozzando, ridendo, mormorando con voce infantile parole di disperazione e d'amore. Era Rahmana. La condussero in casa di suo padre, vi stette tre giorni senza profferire parola e disparve. La trovarono qualche tempo dopo fra le rovine della casa del bosco, che raspava la terra colle mani, chiamando Arusi. E di l
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