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Aggiornato: 22 maggio 2025
È strano il saluto fra Abissinesi che si rivedono dopo qualche tempo d'assenza: si toccano replicatamente le mani ripetendosi il buon giorno, come state, poi si stringono l'un l'altro per appoggiare labbro a labbro e darsi con tutta delicatezza una buona dose di baci.
È un fatto che Leonardo Bollati, un giorno in cui egli era d'umor più trattabile, aveva detto alla moglie che, in fin dei conti, se gli offrissero un buon impiego, egli avrebbe forse la degnazione di accettarlo. Una simile idea può parere strana in un uomo di quella tempra e di quella vita, ma la si spiega benissimo ove si consideri che il 22 marzo aveva portato uno sconvolgimento profondo nelle abitudini dei Veneziani. In condizioni ordinarie non c'è popolazione più metodica di questa; la gente si reca ogni giorno alla stessa ora agli stessi ritrovi; alla distanza di dieci anni voi vedete dietro le vetriate dei soliti caffè i soliti visi con qualche ruga e qualche capello bianco di più; quelli che mancano, mettete il vostro cuore in pace, molto probabilmente son morti. Entrate, e sentirete, non dico gl'identici discorsi, ma l'identico modo di discorrere, di sparlare del prossimo, di spropositar di politica, di gridar la croce addosso agli amministratori del Comune. Ciò che vale pei caffè, vale pei teatri, per le conversazioni, per le osterie, per le passeggiate: ciò che vale per un ceto di persone vale per tutti. Gli amici si vedono, si lasciano, si rivedono tre o quattro volte nel corso di ventiquattr'ore. Che amici! si dir
Così nella bellissima scena che chiude il capitolo V. all'inatteso ritorno di Paolo in casa di Silvia; così nella scena del capitolo seguente, in cui avviene la rottura con Silvia e la partenza di lei; così in quella che avrebbe potuto riuscire una scena magistrale, quando Paolo e Silvia si rivedono, dopo molto tempo a Nizza.
Il vecchio caid balza in piedi atterrito e sente la pesta precipitosa d'un cavallo che s'allontana. Chiama i soldati, che accorrono in furia, e grida: Il mio cavallo! Il mio cavallo! Cercano il suo cavallo, il più superbo animale del Garb: è sparito. Corrono alla tenda di Sid-Alì: è steso in terra morto, con un pugnale confitto nell'occhio sinistro. Il caid scoppia in pianto: i soldati si slanciano dietro al fuggitivo. Lo intravvedono, come un ombra, per qualche momento; lo perdon di vista; lo rivedono; ma egli va come la folgore, e sparisce ben presto per non più ricomparire. Continuano a inseguirlo, nondimeno, per tutta la notte, sin che arrivano a un bosco fittissimo, dove si arrestano per aspettare che aggiorni. Appena aggiorna, vedono lontano il cavallo del caid, che viene verso di loro spossato e insanguinato, riempiendo l'aria di nitriti lamentevoli. Pensando che Arusi sia nel bosco, sguinzagliano i cani e s'avanzano colle armi nel pugno. Dopo un breve cammino, scoprono una casuccia diroccata, mezzo nascosta fra gli alberi. I cani v'accorrono e s'arrestano. I soldati li seguono in punta di piedi, arrivano alla porta, spianano i fucili... e li lascian cadere in terra gettando un grido di stupore. In mezzo a quelle quattro mura, stava disteso in terra il cadavere d'Arusi, e accanto a lui una bellissima donna, vestita splendidamente, coi capelli sciolti, la quale gli fasciava i piedi sanguinosi, singhiozzando, ridendo, mormorando con voce infantile parole di disperazione e d'amore. Era Rahmana. La condussero in casa di suo padre, vi stette tre giorni senza profferire parola e disparve. La trovarono qualche tempo dopo fra le rovine della casa del bosco, che raspava la terra colle mani, chiamando Arusi. E di l
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