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Aggiornato: 4 maggio 2025


PANURGO. L'apparecchio per un mio amico di che ho da servirmene in un bisogno importantissimo. MORFEO. Sèrvite di me, che ti servirò al servibile e all'inservibile. PANURGO. Vuoi tu prestarmi mille scudi? MORFEO. Con che faccia cerchi a me mille scudi, che tutto intiero non vaglio dieci quattrini? Cercar dinari a me è come cercar acqua ad una pomice.

GERASTO. Mi contento non tanto per i trenta scudi, quanto per farvi vedere un miracolo di una mia ricetta, che un todesco, a cui avea fatte molte carezze in casa mia, morendo, me ne lasciò erede: con duo soli lattovari, non piú. FACIO. Che lattovari, che tedeschi, che ricette? GERASTO. Dico che vi servirò tra pochi giorni. FACIO. Dico che li voglio adesso. GERASTO. Che cosa?

Idio: da mal ti guardi: almo: signore Un tuo amico fidel: a te mi manda Se per te voi ch'io adopra il mio valore Senza rispetto alcun: hor mi comanda E servirò: con sviscerato core Tua persona gentil: e veneranda. No.

In cor nobile: e gentile Non regnò mai crudeltade Un servir verace, e humile: Sempre, de' trovar pietade Una volta: tua beltade Vivo e morto: ho per mia duce. Dapoi notte: vien la luce. Servirò continuamente: Giorno, e notte, al ben, e al male Se da me faraite absente Non dirò per questo: vale Anci a te, stenderò l'ale Che sei tu, che al ciel, me induce. Dapoi notte vien la luce.

Sentite, sentite, voi non avete nessuna colpa, è vero, io non posso dire nulla contro di voi, voi non mi avete ingannata, sono io che ho voluto ingannarmi, lo confesso. Ma pure.... io vi amo, io non posso levarmi dal cuore questo amore, io non resisto al pensiero di restare sola, qui, mentre voi ve ne andate, così lontano; morirei; sentite, non ho mai mentito, morirei. Bisogna pur concedere qualche cosa agli illusi, agli esseri semplici. Il mio destino è di amarvi, Massimo, non vi è altro, per me. Che volete, il mio sogno continua, io non mi sveglierò che per entrare nella tomba. Sentite. Lasciatemi venir con voi: andate solo, andate triste, laggiù, in un paese ove non avete amici parenti. Io, qui, non lascio nessuno. Posso disporre della mia persona, della mia vita. Direte che vi sono sorella, nipote, governante, direte che sono la vostra serva, mi contento. Purchè io possa seguirvi, vi servirò, laggiù. Non mi vedr

Io ho finto averci fatta grande opera; gli ho data speranza di condurla, ancor oggi, alle voglie sue. LIDIO. Questa è ben cosa da ridere. Ah! ah! ah! Ed or mi ricordo che, l'altro , tornando io da Fulvia in abito di donna, mi venne drieto un pezzo; ma non pensai che fusse per innamoramento. Si vuol mandarla innanzi. FESSENIO. Ti servirò bene: lassa fare a me.

Altro che supporre! lo credo, lo vedo; ma non importa. Se pensi che i miei talenti oratorî possano giovarti presso di lei.... Ah, Felicino! io ero nato per essere oratore! Basta, ti servirò; tu mi hai dato il tuo specifico contro la noia, io ti son debitore del ricambio.... se pur lo sar

Se la tua grandezza vuol di lui vendicarmi io so che osarlo tu puoi, ma non costui.... Questo è vero. Sarai signore di tutto quanto ed io ti servirò. E come si potr

Gerasto, sète contento voi per i trenta scudi? GERASTO. Contento, anzi vi servirò adesso adesso, che anderemo in casa: voi restate meco. FACIO. Volentieri. PANURGO. Orsú, io vi lascio insieme, ch'io vo per una cosa importantissima e serò a voi tra poco. GERASTO. Idio vi facci sano! FACIO. E voi sano e contento! GERASTO. Accostatevi, galante uomo. FACIO. Voi giá vi contentate per i trenta scudi?

Roberto, spiegando una sovrumana energia per non prorompere, raccolse i frammenti della lettera e disse. Quand'è così ricopierò il mio scritto e mi servirò della posta. Ma una tale tranquillit

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