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³²⁶ Non si dimentichi che Giuliano, per artifizio d’ironia, ripete, quasi confermandoli, gli scherzi dei suoi denigratori. E qui Giuliano racconta che a lui avvenne, una sola volta, di vomitare il pranzo, cosa che, a quel che pare, gli Antiochesi usavan fare, come si narra dei Romani. E fu, durante il suo soggiorno a Parigi, nella sua cara Lutezia, come egli dice.

Alcuni soldati, antichi compagni di Alpinolo, i quali, ordinati dal connestabile Sfolcada Melik a piedi della scala e intorno al palco, contenevano la folla, ridevano a quegli scherzi, applaudivano a' bei colpi che colui trinciava in aria; si ricambiavano le più lepide celie con un'indifferenza assassina, della quale ho trovato poco migliore, sopra un campo diverso, la serena tranquillit

PANDOLFO. Canchero! questi sono mali scherzi. E par che sia piú tosto pallido divenuto. CRICCA. Pensa il ladro che se or è trasformato in Guglielmo, che mai piú abbi a divenire vignarolo e farci star in forsi dell'argento ancora. PANDOLFO. Non ha tanta malizia, è un bestiale. CRICCA. Ed i bestiali sogliono essere maliziosi; ma sarei piú bestiale di lui se mi lasciassi burlare da un par suo.

Il mio amico mi ha costretto a gridare, e lui stesso ha ecceduto: ha fatto del chiasso. Avete litigato? Non è stato un litigio. E che è stato? Raccontami. Raccontami. Nulla da raccontarvi. Sciocchezze! E com'è che lui non è qui? È scappato via all'improvviso. Perché è scappato via? ... Un suo capriccio... Uno dei suoi scherzi bizzarri... Ma, gi

Da quel giorno gli scherzi in proposito fioccarono: egli l'era sempre tra' i piedi, vicino la fontana, nel gran viale del bosco, nella casa dov'essa abitava, quando ci poteva andare ora con una scusa ora con un'altra. E quella benedetta gamba faceva sempre le spese della conversazione.

E tenta con gli scherzi il tristerello la serietá del duca di recidere, e va pur dietro a far del buffoncello perché palesi l'interno col ridere; e dice i fatti di questo e di quello, e che tal visse ben ch'era da uccidere; ma sopra tutto va rammemorando le commedie d'allor di quando in quando. Orsú rispose il duca, non è questa una commedia, e poeta io non sono.

Voi date troppa importanza ad alcuni scherzi innocenti, che sono il passatempo della gioventù; diss'ella poscia, con un sorriso di compassione. Auguratevi di non aver mai da rimproverare a vostra moglie altri torti che questi, di esser bella, di piacere, e di sentirselo dire. Ed ho lasciato correre, come vedete; rispose Gino. Ho lasciato dire, ho lasciato ascoltare.

Bisogna ben dare l'esempio... A parte gli scherzi dissi, ma spiegami come va questa faccenda; come va che tu che sei un modello di esosit

CLERIA. Egli mi tocca? ESSANDRO. Ti abbraccia, ti bacia e ti vede sempre, e ha tanto piacer di vederti e di abbracciarti che mai simil ebbe; ed egli si terrebbe felicissimo se in quel punto fusse riconosciuto da voi. CLERIA. Scherzi, eh? ESSANDRO. Possa morir se scherzo. CLERIA. Perché dunque non mi si scuopre? ESSANDRO. Perché dubita. CLERIA. Di che dubita?

Che eccellenze? che eccellentissimi? che illustrissimi? ad ogni modo non sai tu che siamo e saremo sempre gli stessi scimiotti vestiti? L'ho fatto per dire; non mi avete voi stesso detto, o cittadino, ch'io era questa mattina di assai buon umore? A banda gli scherzi; io sugli affari non scherzo mai: dunque costoro...?