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Aggiornato: 21 giugno 2025
CURZIO. Che domino poteva far costui? RUFINO. Fatevi conto ch'el dove a merendare. CURZIO. Fa' che tu gne llo ricordi la prima volta ch'erra, se tu me vòi esser amico. TRAPPOLINO. Buon dí. Entrate. CURZIO. Non curar, giotton, forfantello! MALFATTO. Vedi mò che non ho voluto fare a modo del patrone, che li venga el cancaro a lui e a chi lo vede adesso!
RUFINO. Voi avete el torto, ché le cose belle piacciono a ognuno. CURZIO. Tel concedo, questo. Ma non cognosce lui che quella non è farina da' suoi denti? RUFINO. Anzi, lui si pensa che, per aver quattro letteruzze affumate, che tutte le donne di questa cittá siano obligate a volergli bene. CURZIO. Non ne parliam piú.
Tic, tac. CURZIO. Ripichia, ripichia meglio. RUFINO. Che volete pichiare? Questo è un perder di tempo. Tic. CURZIO. Fatti conto ch'el deve dormire. RUFINO. Piú presto deve esser morto. CURZIO. Di questo ne sei cagione tu. RUFINO. E perché io? CURZIO. Perché, se tu lo gastigassi qualche volta, sarebbe piú avertito alle cose mie che non è. Ma non piú.
CECA. Chi è la giú? RUFINO. Sono el fratello della Ceca vostra. CECA. Chi sei? Antonio? RUFINO. Madonna sí. CECA. Tu sia el ben venuto. Aspetta, ch'io ti vengo a oprire. RUFINO. Zi! Patrone, acostatevi. CURZIO. O Dio, aiutame. RUFINO. Acostatevi piú alla porta. CURZIO. Che te hanno detto? RUFINO. Adesso vengono a oprire. CECA. Entrate, olá! Non fate rumore.
REPETITORE. Non piacerá giá al precettore. RUFINO. Cosí, vestitomi, entrai seco in camera: ove ella, chiamato per nome el patrone, gli disse ch'ella era per contentarlo di molto piú che lui non li avea saputo adimandare. REPETITORE. Costui è molto loquace persona.
RUFINO. Patrone, io ve ricordo che, se piú ne avessivo rechiesti, piú ne arestivo trovati ch'el medesmo vi arebbono detto. CURZIO. Vedi che 'l nostro banchieri ne ha aiutato inel bisogno con una sola polizza delle nostre senza altri contratti o cavillazioni.
Fate che non si dia a nessuno, ché la voglio io. MALFATTO. Oh de sotto! Volete che tiri? REPETITORE. E va' in mal'ora, poltrone! MALFATTO. Son piú omo da bene che non simo noi. PRUDENZIO. Lèvate de lí. MALFATTO. Non me nne voglio levare. RUFINO. Orsú! Se volite venire, speditevi; se non, me nne voglio andare, ché l'è tardo. PRUDENZIO. Odite, omo da bene.
RUFINO. Perché, oggidí, non si trova amico se non finto e a pena ve lli prestaranno sul pegno, non ch'altro. CURZIO. Tu dici el vero; ma la necessitá mi sforza de andar alla mercé loro. Ma dimmi un poco: dove dici tu che ti aspettará colei? RUFINO. Ve l'ho pur detto: in casa di Filippa. CURZIO. Orsú!
CURZIO. Che val dir quel menar di capo e quel maravigliarsi che tu fai? A che pensi? RUFINO. Penso ch'io v'ho voluto dire una cosa parecchie volte e sempre mi è uscita di mente. CURZIO. Qualche bugia deve essere, però. RUFINO. O bugia o veritá, io vel vo' dire. Io mi sono giá imbattuto doi volte in una giovane che tutta a madonna Fulvia vostra si rassomeglia. CURZIO. E dove l'hai tu incontrata?
Será buono ch'io mi nasconda insino a tanto che se va con Dio. RUFINO. Oh insperata, oh buona nuova! oh buono incontro! E chi pensato aría mai questo? Oh savio e prudente conseglio di donna! REPETITORE. Io voglio avicinarmegli alquanto. RUFINO. Va' tu e di' poi che le donne han poco cervello! E forsi che 'l patrone non si credeva godere con la figliuola di madonna Iulia?
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