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Aggiornato: 21 giugno 2025
E, fra gli altri, el Belo, a cui la mercé del signore Francesco Orsino de Aragona abate de Farfa gli ha donato possessione e campi: di sorte ch'egli, per quello ch'io ne intendo, l'ha fatto ritornare ai studi da' quali, per essere poco pregiati appresso dei piú, allontanato se n'era. RUFINO. Ed io l'ho inteso molto da molti lodare; ma un fiore non fa primavera.
RUFINO. Patrone, è pazzia a dolersene; per ciò che di continuo ci sono nove materie da dire sui fatti loro e non trovo persona che se ne lodi. CURZIO. Non dire cosí, ché ve nne sonno pur assai de quegli che della loro servitú godeno.
RUFINO. Che volete che faccia de vostra composizione, io? c'ho piú caro un carlino che non quanti scartabelli si trovano, ch'io appena li so leggere. PRUDENZIO. Un'altra cosa. Come voi farete figlioli, voglio che li mandate alla nostra scuola senza mercede. RUFINO. E come volete ch'io li abbia, se non ho moglie? PRUDENZIO. Be', quando la pigliarete poi. RUFINO. Voi me avete bello e chiarito.
Fa' ch'io te intenda. RUFINO. Volete altro, che si contentará di fare quanto vorrete voi? CURZIO. Dio lo voglia, ch'io, per me, non lo credo. RUFINO. Sará cosí certo. Ma... CURZIO. Ma che? Ché non parli? Che vòi dire? RUFINO. Voglio dire che ci è peggio, se Dio non vi aiuta. CURZIO. Come peggio? RUFINO. Peggio, signor sí: ch'ella ha un altro innamorato. CURZIO. Un altro innamorato?
RUFINO. Patrone, voi lodate quello che molti biasmano. CURZIO. Questi sono simie, che paiono e non sono uomini; e, per la spurcizia dei vizi ch'egli hanno, inei quai cercano di sotrarre altrui per aver piú compagni acciò piú licito gli sia el peccare, maliziosamente parlano. Ma questo non è maraviglia, ché dicono male de Idio, ben lo possino ancor dire di esse.
Ma ricordatevi che lei è donna ed è bella e giovane; e, se voi che sète uomo non possete contrastare ai stimoli della carne, che fará lei ch'è di piú fragile e di piú debole complessione? CURZIO. Rufino, tu vedi ch'io volentieri ascolto i consegli tuoi. Ma ti priego che, per adesso, non ne parliamo. Lasciamo passare un po' qualche giorno ancora; e poi qualche cosa sará.
CURZIO. Deh! camina; non tardar piú, de grazia. RUFINO. Eccome. Andiamo. CURZIO. Hai tu avertito colui che stanghi bene la porta? RUFINO. Signor sí. Ma io saria de parere che voi me lassassivo ritornare, ché non sta bene la casa sola. CURZIO. Sta ben pur troppo, ché non stiamo in terra de ladri. RUFINO. Non è questo: ma la commoditá suol fare li uomini e le donne cattive.
RUFINO. Che sí che ve farò andar a cantare altrove? MASTRO ANTONIO. Cancaro! Che tira i sassi? MALFATTO. Ah! ah! Fate alle sassate, eh? PRUDENZIO. Quid est? che cosa è questo? MASTRO ANTONIO. Vedete che ne tragono. RUFINO. Diavolo coglili! PRUDENZIO. Fateve in qua, come dice el barbato Catone: «Rumores fuge». MASTRO ANTONIO. Pel corpo mio, che m'ha sfracassao el liuto. PRUDENZIO. Oh! tedet mihi.
CURZIO. Avertisci che non ti caschino. RUFINO. Non dubitate. Ma, da qui a un poco, potrete ben dire che vi sieno caduti. CURZIO. Anzi, farò conto de avergli alogati in buona parte.
RUFINO. Ed ella, gittatasegli ai piedi con un coltello in mano, pregavalo che piú tosto che della assenzia sua della vita privar la volessi. REPETITORE. Buona nova deveno avere costoro. RUFINO. Quivi sopragiunse la serva.
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