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Aggiornato: 27 giugno 2025


Caccianli i ciel per non esser men belli, lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». E io: «Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa forte?». Rispuose: «Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.

E l'idropico: <<Tu di' ver di questo: ma tu non fosti si` ver testimonio la` 've del ver fosti a Troia richesto>>. <<S'io dissi falso, e tu falsasti il conio>>, disse Sinon; <<e son qui per un fallo, e tu per piu` ch'alcun altro demonio!>>. <<Ricorditi, spergiuro, del cavallo>>, rispuose quel ch'avea infiata l'epa; <<e sieti reo che tutto il mondo sallo!>>.

Rispuose: «Loco certo non c’è posto; licito m’è andar suso e intorno; per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. Ma vedi gi

Di sovr’ esso rech’ io questa persona: dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno, ché ’l nome mio ancor molto non suona». «Se ben lo ’ntendimento tuo accarno con lo ’ntelletto», allora mi rispuose quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». E l’altro disse lui: «Perché nascose questi il vocabol di quella riviera, pur com’ om fa de l’orribili cose?».

levatemi dal viso i duri veli, si` ch'io sfoghi 'l duol che 'l cor m'impregna, un poco, pria che 'l pianto si raggeli>>. Per ch'io a lui: <<Se vuo' ch'i' ti sovvegna, dimmi chi se', e s'io non ti disbrigo, al fondo de la ghiaccia ir mi convegna>>. Rispuose adunque: <<I' son frate Alberigo; i' son quel da le frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo>>.

<<O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, si` che tu lo scuoi!>>, gridavan tutti insieme i maladetti. E io: <<Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi e` lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi>>. Lo duca mio li s'accosto` allato; domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose: <<I' fui del regno di Navarra nato.

«Costoro e Persio e io e altri assai», rispuose il duca mio, «siam con quel Greco che le Muse lattar più ch’altri mai, nel primo cinghio del carcere cieco; spesse fïate ragioniam del monte che sempre ha le nutrice nostre seco. Euripide v’è nosco e Antifonte, Simonide, Agatone e altri piùe Greci che gi

vita beata che ti stai nascosta dentro a la tua letizia, fammi nota la cagion che si` presso mi t'ha posta; e di' perche' si tace in questa rota la dolce sinfonia di paradiso, che giu` per l'altre suona si` divota>>. <<Tu hai l'udir mortal si` come il viso>>, rispuose a me; <<onde qui non si canta per quel che Beatrice non ha riso.

Son le leggi d'abisso cosi` rotte? o e` mutato in ciel novo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?>>. Lo duca mio allor mi die` di piglio, e con parole e con mani e con cenni reverenti mi fe' le gambe e 'l ciglio. Poscia rispuose lui: <<Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi de la mia compagnia costui sovvenni.

E qual e` quei che disvuol cio` che volle e per novi pensier cangia proposta, si` che dal cominciar tutto si tolle, tal mi fec'io 'n quella oscura costa, perche', pensando, consumai la 'mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta. <<S'i' ho ben la parola tua intesa>>, rispuose del magnanimo quell'ombra; <<l'anima tua e` da viltade offesa;

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