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Aggiornato: 9 maggio 2025


Il vecchio caid balza in piedi atterrito e sente la pesta precipitosa d'un cavallo che s'allontana. Chiama i soldati, che accorrono in furia, e grida: Il mio cavallo! Il mio cavallo! Cercano il suo cavallo, il più superbo animale del Garb: è sparito. Corrono alla tenda di Sid-Alì: è steso in terra morto, con un pugnale confitto nell'occhio sinistro. Il caid scoppia in pianto: i soldati si slanciano dietro al fuggitivo. Lo intravvedono, come un ombra, per qualche momento; lo perdon di vista; lo rivedono; ma egli va come la folgore, e sparisce ben presto per non più ricomparire. Continuano a inseguirlo, nondimeno, per tutta la notte, sin che arrivano a un bosco fittissimo, dove si arrestano per aspettare che aggiorni. Appena aggiorna, vedono lontano il cavallo del caid, che viene verso di loro spossato e insanguinato, riempiendo l'aria di nitriti lamentevoli. Pensando che Arusi sia nel bosco, sguinzagliano i cani e s'avanzano colle armi nel pugno. Dopo un breve cammino, scoprono una casuccia diroccata, mezzo nascosta fra gli alberi. I cani v'accorrono e s'arrestano. I soldati li seguono in punta di piedi, arrivano alla porta, spianano i fucili... e li lascian cadere in terra gettando un grido di stupore. In mezzo a quelle quattro mura, stava disteso in terra il cadavere d'Arusi, e accanto a lui una bellissima donna, vestita splendidamente, coi capelli sciolti, la quale gli fasciava i piedi sanguinosi, singhiozzando, ridendo, mormorando con voce infantile parole di disperazione e d'amore. Era Rahmana. La condussero in casa di suo padre, vi stette tre giorni senza profferire parola e disparve. La trovarono qualche tempo dopo fra le rovine della casa del bosco, che raspava la terra colle mani, chiamando Arusi. E di l

Qualche senatore gottoso che si faceva recitare gl'Inni Sacri, o l'Addio ai monti del Manzoni: qualche vecchio professore della scuola romantica, qualche pivellino che si raspava la pelle per farsi crescere i baffi, e finalmente qualche ufficiale superiore colla pancia e cogli occhiali, erano i soli adoratori, e i ballerini delle ragazze.

Nei larghi fortemente inclinati, in certi punti la terra trapelava con toni neri lucentissimi fra un nevischio diradato come una mussola; in altri luoghi ogni traccia di candore era sparita ed un’erbetta minuscola e tenerissima luccicava al sole. Il Rosso rimaneva immobile, le gambe distese sull’erba, la schiena appoggiata ad un sasso, muto nella rabbia e negli spasimi delle ferite. Ad ora ad ora allungava il braccio sano, raspava quel po’ di neve che gli veniva fatto e mutava empiastri alla piaga; così aveva fermato il sangue. Misurando colla memoria lo spazio che lo separava dalle prime case, contava il tempo che gli rimaneva d’attesa prima che tornasse il compagno. A quest’ora è giunto all’abetaia; avr

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