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Aggiornato: 27 giugno 2025
«Essi dicono: il padrone è ricco, e noi siamo poveretti egli è il nostro benefattore egli ci mantiene, ci d
Oh, poveretti! esclamò la fanciulla sottovoce, e si voltò a guardare il cugino tutta spaurita. S'era mai sentita una cosa simile? si poteva supporre che tali fatti avvenissero sotto un governo ben costituito? E i rei impuniti al solito.... Maniscalco! Maniscalco! ecco che ci voleva: quello sì che era uomo, e del mestiere per bacco!
Tu, Baccio, lo puoi dire e lo può dire Mansueta e Don Luigi e tutti lo possono dire. Le nostre baite erano vicine; mio padre e mia madre, suo padre e sua madre si davano del tu fin da quando erano fanciulli alti come quei due poveretti che sono usciti testè... Qui s'interuppe, e disse a bassa voce, quasi parlando a sè stesso: Perchè li abbiamo messi al mondo, perchè?
DON FLAMINIO. Io sarei il piú ingrato uomo del mondo se, tu incappando per amor mio, non spendessi quant'ho per liberarti. LECCARDO. De' poveretti prima si fa giustizia, poi si forma il processo e si dá la sentenza. DON FLAMINIO. Non temer quello che non sará per avvenir mai. LECCARDO. Anzi sempre vien quello che manco si teme.
Alcune ghignarono perchè questa ribelle Cristina era un bel pezzo di ragazza e i padroni le facevano l'occhio di triglia, e anche don Giorgio Castellani, il giovine curato di Gel, la vedeva volontieri. Ma la sorella di lei, la sposa Rampoldi, dolente e quasi offesa, esclamò: Sei pazza?! Che vita vuoi fare, altro che lavorare?... I poveretti son nati per questo.
E lo stesso deve dirsi de' pagamenti d'opere a giornata de' poveretti.
Ma niente affatto... Ma sicuro... disse l'Argia con molta approvazione. Adagio: la mi lasci finire, signorina. Per me i due innamorati non sono due che si divertono; ma due meschinelli, due inconsapevoli lavoratori e servi di quella grande autocrate che si chiama Natura, i quali, poveretti, ubbidiscono a certe leggi che impone questa fatal Natura. A me è accaduto lo stesso come accade a voi.
E che importa, o Damiano? il vecchio riprese. Meglio oggi che domani; la vita che passò mi somiglia un giorno. Solo, ti torno a dire che sarei morto più contento, se avessi potuto darvi uno stato, a voi altri due poveretti: e quest'è la mia spina. Di te, Damiano, mi duol meno, chè, lo so bene, non avrai bisogno di nessuno; ma il povero Celso, ancora fanciullo.... I cuori timidi e semplici come il suo, son quasi sempre vittima de' furbi, o de' prepotenti. Basta, a te lo raccomando; so che vi amate, e tu penserai a lui, alla povera vostra mamma, ed alla mia Stella, che sar
Ma tu lo hai veduto mai questo caprone? Io no...., ma l'hanno veduto tanti che non si può mettere in dubbio. E non son morti quelli che l'hanno veduto? No...., ma allo spedale ci sono stati lungo tempo. Poveretti! aveva esclamato Marco. Io però non mi scordo del mio rosarino e mi propongo di consumare la mia ora di sentinella con dire tanti De profundis.
Mentre i confortatori entravano per la porta del carcere e salivano sulle scale, il secondino Petronio, che doveva aprire le segrete dei condannati, e condurli nella cappella, aspettava l'arrivo della confraternita in quel camerone della prigione, dove l'abbiamo incontrato un'altra volta, e dove faceva fra sè e sè queste riflessioni: Quei due poveretti devono proprio andare alle morte questa mattina!... Questo pensiero mi produce un affanno, che non posso spiegare. Io sono avvezzo a vedere queste disgrazie. Eppure questa volta mi sento proprio stringere il cuore. Ma perchè? Perchè questi due disgraziati non sono assassini. Avranno forse fallato, ma credevano di far bene!... Quel povero Tognetti così giovane! E Monti, poveretto, che lascia la moglie e tre figli, e il bambino più piccolo ha diciotto mesi!... Ah, che miseria!... Se dipendesse da me, io farei loro la grazia sul momento. Pare impossibile che il Santo Padre, che dicono che è tanto buono, non debba sentir compassione, quando la sento io, che sono una pellaccia dura d'un carceriere! Ma io sono un ignorante, e lui ne sa più di me. Dovr
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