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Aggiornato: 17 giugno 2025


Giá m'hai chiarito di quanto ne stava suspetto. BALIA. Che gran cosa che m'abbiate visto parlar con un giovane? ORGIO. Che parlavi di cose di stato, di astrologia o di filosofia? BALIA. Non si può dunque parlar d'altre cose? ORGIO. Le baliaccie, che han figliane da marito, parlando con i giovani, non puon dar buon odor di loro.

Sappiate che per un mirabile accidente, per un benevolo incontro di fortuna, è successa cosa tutta contraria a quella che minacciava la presente confusione. ATTILIO. Dammi un succinto raguaglio del fatto. TRINCA. Orgio, avendo visto la balia ragionar con Erotico, la batté sconciamente. EROTICO. Oimè, che dici? questa è una mala nuova per me.

ORGIO. Faccisi quanto comandate. Fermatevi, ché voglio esser partecipe delle vostre fatiche e compagno nelle vostre sciagure; ché le nostre fortune poiché hanno una conformitá fra loro, andiamo insieme. ATTILIO. Avendo per compagno un amico cosí caro come voi sète, la mia sciagura diverrebbe fortuna: però vo' andarmene solo e disperato.

Ma io non conseguisca mai desiderio in mia vita, se, sempre che ho vista Sulpizia, non mi sentiva un certo movimento di sangue per la persona, tra carne e pelle, e non potea imaginarmene la cagione. La natura veramente facea l'ufficio suo, e per una certa occulta affezione l'ho sempre richiesta ad Orgio per darla per moglie ad Attilio, e ancor senza dote.

Ma Filogono lasciò la robba ad Orgio suo fratello, con condizione che, riavendosi la loro Sulpizia, cioè la da voi stimata Cleria, se li consignassero diecimila ducati di dote, e, non ricuperandosi, si dessero alla vera vostra Cleria, cioè la stimata loro Sulpizia, duemila ducati per lo suo casamento, e il restante ereditasse Orgio suo fratello.

Andiamo a casa mia o nella vostra, a far il cambio. ORGIO. Eccomi pronto a quanto volete. PARDO. Venete a casa mia, che mangiaremo insieme, e poi ragionaremo de fatti nostri. ORGIO. Non posso, ho che fare, ci vengo con l'animo. PARDO. Vo' che ci vengáti in persona; e per la porta di dietro mandaremo a chiamar Sulpizia vostra, ch'io spasimo di vederla: e vi prego, concedetemi questa grazia.

BALIA. Volete dunque dir che vostra nipote sia una puttana, e io una ruffiana? ORGIO. Sotto onorata maestra non potea imparar altre opre di quelle ch'ave imparate. BALIA. Questo guadagno dopo la servitú di trent'anni in casa vostra? ORGIO. Questo guadagno io con te, dopo averti amata e onorata trent'anni in casa mia, che al fin avesti a svergognarmi la nipote?

ORGIO. Tu ci entrerai per tuo dispetto, se non di buona voglia. BALIA. Io per forza? ORGIO. Tu , e ti strascinerò per li capelli. BALIA. Oimè, oimè, vicini, aiuto, aiuto! ORGIO. Ci bisognano uomini e non asini, a governar queste bestie. BALIA sola. BALIA. A questo modo, eh? come l'infame e le cattive?

Conosco aver errato; ché non dovea cosí rigorosamente castigar la balia, e dovea considerar ch'era vecchia, che i vecchi per se stessi sono colerici e ritrosi. Ma ogni uomo, che spunta di , mi par che sia Pardo e che dica: Dammi la mia Cleria e togliti la tua Sulpizia. Ma eccolo che viene, e alla volta mia. Idio mi aiuti. PARDO. Fermatevi, Orgio, che ho da parlarvi.

EROTICO. E con chi? BALIA. Con Attilio. EROTICO. Ahi, fortuna traditora, e che potevi tu farmi peggio? BALIA. Vi ha fatto peggio: che Orgio suo zio vuol che per questa sera si faccino le nozze, ché la brevitá del tempo ne priva di consigli e di rimedi. EROTICO. Mi volevi dar una cattiva nuova, e or me ne dái due. BALIA. Fortuna non comincia per una per due. EROTICO. Ecci forse altro?

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