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A venti passi dalla tenda, scesero dai loro cavalli bardati di tutti i colori dell'iride, e si slanciarono verso di noi gridando tutti insieme: Benvenuti! Benvenuti! Benvenuti! Il governatore era un giovane di fisonomia dolce, d'occhi neri, di barba nerissima; tutti gli altri, uomini tra i quaranta e i cinquanta, d'alta statura, barbuti, vestiti di bianco, lindi, profumati, che parevano usciti da uno scatolino. Strinsero le mani a tutti, girando intorno alla tavola a passo di contraddanza e sorridendo graziosamente, e poi si radunarono daccapo dietro al Governatore. Uno d'essi, vedendo per terra un briciolo di pane, lo raccolse e lo rimise sulla tavola dicendo alcune parole che significavano probabilmente: Scusate: il Corano condanna il disperdimento del pane: io faccio il mio dovere di buon Mussulmano. Il Governatore offerse a tutti l'ospitalit

Vorrei sedere alla spiaggia.... e vorrei credere.... e volare e salire.... Oh chi sale l'omnibus? La marinara col guarnellino di telaccia gropposa. Vorrei credere?... Credere?... Mi sento in capo il turbante che mi stringe i polsi.... Chi m'ha fatto mussulmano?

Sidi-Misfiui, mi fu detto poi, ha tra i Mori la fama di gran dotto, fu maestro del Sultano regnante, ed è, come gli si legge nel viso, un mussulmano fanatico. Sidi-Bargas gode la riputazione più amabile di gran giocatore di scacchi.

Tra la molta gente che ronzava intorno alla porta della Legazione v'era un moro elegante, che fin dal primo giorno m'aveva dato nell'occhio; uno dei più bei giovani che io abbia visto nel Marocco; alto e snello, con due occhi neri e melanconici, e un sorriso dolcissimo; una figura da sultano innamorato, che Danas, lo spirito maligno delle Mille e una notte, avrebbe potuto mettere accanto alla principessa Badura, in vece del principe Camaralzaman, sicuro che non si sarebbe lamentata del cambio. Si chiamava Maometto, aveva diciotto anni ed era figliuolo d'un moro agiato di Tangeri, protetto dalla Legazione d'Italia, un grosso ed onesto mussulmano, che da qualche tempo, essendo minacciato di morte da un suo nemico, veniva quasi ogni giorno, colla faccia spaurita, a chieder aiuto al Ministro. Questo Maometto parlava un poco spagnuolo, alla moresca, con tutti i verbi all'infinito, e così aveva potuto stringere amicizia coi miei compagni. Era sposo da pochi giorni. L'aveva fatto sposare suo padre, perchè mettesse giudizio, e gli aveva dato una ragazza di quindici anni, bella come lui. Ma il matrimonio non l'aveva molto cangiato. Egli era rimasto, come dicevamo noi, un moro dell'avvenire, il che consisteva nel bere, di nascosto, qualche bicchiere di vino, fumare qualche sigaro, annoiarsi a Tangeri, bazzicare cogli Europei e almanaccare un viaggio in Spagna. In quei giorni però, quello che ce lo tirava intorno, era il desiderio d'ottenere, per mezzo nostro, il permesso d'unirsi alla carovana, e andare così a veder Fez, la grande metropoli, la sua Roma, il sogno della sua infanzia; e a questo fine ci prodigava inchini, sorrisi e strette di mano, con una espansione e una grazia che avrebbe sedotto tutto l'arem dell'Imperatore. Come quasi tutti gli altri giovani mori della sua condizione, ammazzava il tempo trascinandosi di strada in strada, di crocchio in crocchio, a parlare del nuovo cavallo d'un ministro, della partenza dell'amico per Gibilterra, d'un bastimento arrivato, d'un furto commesso, di pettegolezzi da donne; o rimanendo molte ore immobile e taciturno in un angolo della piazzetta del mercato, colla testa chi sa dove. A questo bellissimo ozioso si lega il ricordo della prima casa moresca in cui misi il piede, e del primo pranzo arabo a cui arrischiai il palato. Un giorno suo padre ci invitò a desinare. Era un desiderio che avevamo da molto tempo. Una sera tardi, guidati da un interprete e accompagnati da quattro servi della Legazione, s'arrivò, per alcune stradette oscure, a una porta arabescata, che s'aperse, come per incanto, al nostro avvicinarsi; e attraversata una stanzina bianca e nuda, ci trovammo nel cuore della casa. La prima cosa che ci colpì fu una gran confusione di gente, una luce strana, una pompa meravigliosa di colori. Ci vennero incontro il padrone di casa, il figliuolo e i parenti coronati di gran turbanti bianchi; dietro di loro, c'erano i servi incappucciati; più in l

La moschea di Cordova è oggi ancora, per consentimento universale, il più bel tempio mussulmano, e uno dei più ammirabili monumenti del mondo.

Gloria i pro' cavalieri ebber traendo La tomba del Signor da giogo infame, E grazie a' loro acciari Non invase anch'Europa il Mussulmano; Ma in vile obblìo religïon ponendo, Aprirò il core ad esecrande brame, In rapina emul

Un giovane Marocchino, stabilito per affari a Genova, coll'elegante suo costume: era mussulmano, e ordinando la sua religione che non si può cibarsi di carni d'animali uccisi da mani per loro impure, ci offriva ogni giorno il divertimento di farsi carnefice dei bipedi e quadrupedi che ornati d'intingoli, preparati da mani cristiane, assaporava poi molto abbondantemente quando ve lo chiamava il suono del sospirato campanello.