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Aggiornato: 2 maggio 2025


E qui brancolava in traccia della tazza. Rogiero balzò in piedi, la prese, gliela accostò alle labbra, e sollevatogli il capo l'aiutava a bere. Il vecchio non ripugnante, consenziente, seguitava l'impulso; ma quando, aperti gli sguardi, potè fissare Rogiero, gittò un debole strido, fece atto di allontanarlo da , e tra stupito e maravigliato esclamò: «Manfredi

«Cedere io? quando ha ceduto Manfredi? quando, donna, ti tornò il tuo consorte dinanzi in sembianza di vinto? Noi vinceremo....»

«No, tu vivrai, Corrado! » proruppe Manfredi, e si curvò sul giacente... aveva esalato l'ultimo fiato: una lacrima scese sul volto del morto dal ciglio del Re, che si allontana, prorompendo in singhiozzi convulsi. Allorquando il Provenzale si fu impadronito di San Germano, la plebe stolta, per piacere al nuovo signore, cinse di un capestro il collo del fedele Benincasa, e lo strascinò a vituperio per le strade della citt

Il Marchese non andò più oltre, e stimò avere con molta accortezza provveduto alle cose sue, perchè, se vinceva Manfredi, ei gli era amico segreto: se Innocenzio, ei gli era amico manifesto.

«Non posso, figlio di Federigo, non posso....» Manfredi si levò impetuoso, e afferrando pel braccio l'Amira lo condusse al balcone, dal quale sopra il pendío del monte Cassino si vedevano le rovine della citt

Poichè gli scudieri di Manfredi ebbero per ben tre volte, e sempre indarno, ripetuto la intimazione di aprire la porta in nome del Re, posero mano ad atterrarla; conseguivano l'intento, e primo il Re si cacciava su per le scale seguitato súbito dopo dal Cavaliere sconosciuto; percorsero moltissime camere senza trovare traccia di anima vivente, quando alla fine pervennero innanzi un'altra porta serrata; provarono a schiuderla con le sole mani; non venendone a capo, presero a darvi dentro con le mazze d'arme, così che fecero cedere anche questa, con tempo e fatica maggiore però, come quella ch'era forte sbarrata. Penetravano nella sala, non v'era persona; si vedevano su di una tavola molti mantelli, per terra qualche brano di veste, e due spade, un fuoco, ed assai lumi accesi, vestigii tutti di recenti abitatori, ma gli abitatori erano scomparsi. Manfredi, osservate alcune carte, le tolse in mano, e conobbe con maraviglia essere lettere del Pontefice e di Carlo, suoi nemici, ai ribelli. Intanto gli scudieri, non potendo darsi pace come fossero scampati i traditori, facevano le più strane cose del mondo: occorreva dirimpetto alla porta per la quale erano entrati un'altra porticella foderata di ferro di saldissima apparenza, per lo che stimando che fossero indi fuggiti, senz'altra cosa considerare, vi si affollarono per isforzarla, siccome poc'anzi aveano tentato di fare i ribelli, e gi

Giordano Lancia, cugino di Manfredi, a lui per interesse e per volont

Si allontanarono. Rimase solo Manfredi: si succedevano truci pensieri nel suo intelletto con la celerit

Rinaldo ha fatto il debito suo: perchè noi mancammo al nostro; mai si concede errare indarno a cui porta corona; noi ne paghiamo amarissima pena, ma pure dovuta. Dovevamo noi?... un Manfredi?... No, nol dovevamo; ma Dio a cui vuol male toglie il senno.» ¹ ¹ Espressione sovente adoperata dal Cronista Villani nel racconto di queste avventure, Libro 7.

Carlo d'Angiò, con quest'indole niente poetica, fece pure qualche verso, perchè n'avea sempre agli orecchi nella corte di Provenza. Il sig. C. Fauriel, ne' cenni biografici intorno a Sordello, Bibliothèque des Chartes, tom. IV, nov. et déc. 1842, ha dato una traduzione della risposta ritmica di Carlo ad alcuni versi di Sordello che il tacciavano d'ingratitudine. Sordello vivea alla corte del conte di Provenza; l'avea seguito all'impresa contro Manfredi; ma ammalatosi in Novara di Piemonte, vi restò lungo tempo dimenticato, in preda alla malattia e alla povert

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