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Ora le due cognate sono più da presso, parlano a voce più bassa, con un misto di confidenza e di diffidenza, con qualche esitazione davanti a certe domande, a certe risposte, con qualche pausa oscura, con qualche improvviso palpito, quasi spiandosi talora di sotto alle palpebre. Giana. Come? Mortella. Come chi troppo medita e non fa il male se non per tentar stesso e per essere un altro.

Quale delle due apprendeste? Gherardo Ismera. Colui che obbedì porta tutto il peso di colui che comandò, ma un tal carico non lo schiaccia. Giana. È l’enigma? Gherardo Ismera. Addio, signora. Giana. È il vostro enigma? Gherardo Ismera.

Ah, vedo: Mortella v’ha un po’ sbigottito con le sue evocazioni funebri... Davvero è possibile che sentiate farsi più grave quel certo peso di cui ella vi carica? Gherardo Ismera. È possibile, signora. Giana. Che dite mai? Gherardo Ismera.

Giana s’è appoggiata a una spalliera, nella sua attitudine consueta, col mento sul dorso della mano; e sembra tesa a spiarlo da’ suoi lunghi occhi di bautta. Come un’arme a un sol taglio, la sua voce ha da una sola banda un sottilissimo filo di derisione. Giana. Voi siete dunque uno che sa leggere anche in un’anima di vergine? O meraviglia!

Aspettavo che tu risalissi, Giana. Ero in gran pena. Che dice Mortella? Giana. Guardala. Bandino. Ah, niente di buono. Sorellina, sorellina selvaggia, perché sei tanto accigliata? Come puoi essere così dura, tu che sei così tenera quando vuoi? Ti supplico, ti supplico. Mortella. Tutto è gi

Si guardano forzando il sorriso del saluto e dell’accoglienza, che per alcuni attimi persiste su i loro volti come qualcosa che vi sia appesa e possa rimanervi indefinitamente se si trascuri di staccarla. Un’aura ostile sembra quasi formarsi dai due respiri. Giana. Come ti senti? Mortella. Bene. Grazie. Ho dormito un’ora. Il sonno d

Non hai notata quella stampa che ho nella mia camera? Giana. Quale? Mortella. Quella dove la duchessa di Bisceglie si lava le mani. Giana. Non ricordo. Mortella. Si lava le mani in un bacile, con le braccia nude sino al gomito, dopo aver preparato per Alfonso l’acquetta perugina. Giana. Sei strana, Mortella. Mortella.

È forse la Guinigia che si rincarna in quella piccola selvaggia che fui... La mattina quando mi stiro, nel dormiveglia, mi pare che ho un braccio lungo come una scalinata di pietra e l’altro come un viale di bossolo, e che in una mano laggiù ho una dea vestita di borraccina e nell’altra una vasca piena di nannùferi. Giana. Mortella... Mortella.

Mortella. Oh Dio, Dio! Si solleva lentamente, col viso scomposto, con gli occhi sbarrati e fissi davanti a , reggendosi le tempie con le due mani, tenuta da un orrore che par entrato nel luogo delle sue ossa. Che ho fatto? Che sono divenuta? Perché ho dovuto conoscere anche questo? Giana. Mortella! Mortella.

Non senti che questa parola tronca la vita? Più crudele sei che non io amara. Giana. Ma com’è egli? Mortella. Dolce. Ella ha proferito questa parola con un accento singolare d’ironia, di repulsione e di mistero.