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Aggiornato: 17 giugno 2025
Meno infelice di lei, una povera eroina della favola era stata abbandonata su d'uno scoglio, dannata ad esser la preda d'un mostro.
Dopo essere diventato coi vostri amori di montagna la favola di tutta Modena, pretendevate che niente giungesse, nemmeno l'eco delle vostre sciocchezze, all'orecchio di Elena? Pure, ella seppe dimenticare quella storia, poichè vi ha sposato. Date colpa a voi, se la vostra freddezza, il vostro essere sempre col pensiero altrove, hanno richiamato alla sua mente i discorsi di tutti.
Anche rinunziando a cercare nel suo fango il Licnuco d'oro di Gerusalemme, molto resterebbe a scoprire di raro e di prezioso che vi si è affondato nel corso dei secoli. Si narrava nel medio evo che Gregorio Magno avesse fatto gettare nel Tevere molte antiche statue, e questa favola probabilmente accenna al fatto che molte opere d'arte vi si sono, comunque, inabissate.
I bramini gli annunziano che quella è Sacontala, la sposa legittima di lui. Stupisce il re: gli pare strano che gli si parli di nozze. Che favola è questa mai? È levato il velo a Sacontala. Dushmanta la rimira, confessa che è bella; ma non la riconosce. Per quanto io mediti, non mi ricordo d'avere sposata costei. Né io darò luogo mai nella mia reggia a donna che porti in seno la prole altrui.
E la notte cadeva su noi, ci avvolgeva nel suo musicale silenzio, ci faceva godere la gioia d’esser tranquilli, d’essere vicini, d’essere veramente giunti su l’orlo dell’amore, nella poesia di questa bella favola eterna e lieve che si chiama l’amore, nella infinita, beata ilarit
Verso le dieci di sera, Cristoforo Colombo stava sul cassero di poppa, esplorando ancora con gli occhi fissi il buio orizzonte. Tutto ad un tratto, gli parve di vedere in lontananza risplendere un lume. Era piccino e tremolante, come il lumicino della favola; e l’almirante credette a tutta prima di aver traveduto.
Corvo, colla libidine della passione e della distruzione nell'anima, malediva la notte, e malediva anche la bugiarda storia della Sacra Scrittura che contava la favola di Josuè. Scettico e libero pensatore nel fondo della coscienza, egli per un solo filo teneva ancora alla formidabile societ
NER. Ed io, pur certo che d'oscura vita ti appagheresti meglio, a te prescritta l'avea; ma poi... OTTAV. Ma poi, pentito n'eri: e ch'io non fossi abbastanza infelice, nascea rimorso in te. De' tuoi novelli legami aver me testimon volevi: quí di tua sposa mi volevi ancella; favola al mondo, e di tua corte scherno farmi volevi. Eccomi dunque ai cenni del mio signor: che degg'io fare? imponi.
Volt'era in su la favola d'Isopo lo mio pensier per la presente rissa, dov'el parlo` de la rana e del topo; che' piu` non si pareggia 'mo' e 'issa' che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia principio e fine con la mente fissa. E come l'un pensier de l'altro scoppia, cosi` nacque di quello un altro poi, che la prima paura mi fe' doppia.
Togli per infallibile sentenza la favola di Mida e del barbiere, che al bucolin degli orecchioni grida, donde nacquer le canne dalle strida. Filinor ode il sordo mormorio: per le botteghe faceva il leprone, gli occhi ha incantati e pavidi, e pur brio tenta mostrar, ché ha in cor la sua lezione.
Parola Del Giorno
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