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Aggiornato: 21 giugno 2025


Grazie disse l'uomo trionfante. Il fantasma sorrise dolcemente, ed io, che volevo urlare di dolore, sorrisi di dolcezza. Tu mi ami? chiese l'uomo. Ti amo mormorò il fantasma. Io, che sulle labbra mi si affollavano gli insulti, dissi a voce alta: Ti amo. Mi amerai sempre? Sempre rispose il fantasma. Io, che agonizzavo, risposi: Sempre. Lo giuri sulla Madonna?

Ed Evelina, forse mortificata o impermalita per quel lungo silenzio, si preparava ad andarsene. Va via?... Così presto? esclamò Pietro con uno smarrimento quasi pauroso, fissando sempre la giacchettina blù, che gli appariva in mezzo alla camera buia, come il fantasma di Nora. Si fa tardi, osservò Evelina, con un sospiro, avvicinandosi alla finestra. Si fa tardi; e poi minaccia un temporale.

Il fantasma dai labbruzzi rosati scompare, tutto un esercito di immagini paurose invade il campo dei suoi sogni ad occhi aperti; è un istante solo, ma quante amare ricordanze in un istante! Ah! che ha fatto! che ha fatto! Come sarebbe felice ora se...

Noi ci avviciniamo all'episodio culminante, nel quale si racchiude la spiegazione di tutta la mia vita... »Il marchese non ebbe che un solo rivale il fantasma di Adolfo. Qual colpa ebbi io mai, fragile creatura, se il destino mi pose al fianco un marito, il quale non cessò mai, finchè visse, di evocare in proprio danno una larva irresistibile?

S'interruppe. Che intendi? Non sarei più solo a piangere sulla sua tomba, ad evocare in segreto il suo fantasma adorato. Egli mi contenderebbe l'unico bene che rimane agli sventurati, la vita del pensiero, la religione delle memorie dimezzerebbe un'altra volta il mio amore, questa pallida larva d'amore che mi rimane dacchè ella è morta.

La paura gli aveva sconvolto la mente; gridava tutta la notte che lo volevano ammazzare; e, nei momenti di riposo, gli pareva di vedere un fantasma al quale domandava perdono giurando d'essere innocente! La Ghita faceva dire delle messe alla Madonna delle Grazie, e non abbandonò mai, giorno, notte, il capezzale del povero delirante, finchè durò in quello stato e non cominciò a migliorare.

Il piccolo fantasma perverso era una emanazion diretta del mio odio; aveva contro di me la stessa inimicizia che io avevo contro di lui; era un nemico, un avversario col quale stavo per impegnare la lotta. Egli era la mia vittima ed io ero la sua. Ed io non potevo sfuggirgli, egli non poteva sfuggirmi. Eravamo ambedue chiusi in un cerchio d'acciaio.

Donna Clorinda scivolò giù dal letto, in camicia, rabbrividendo al gelido contatto del pavimento sul quale i sui piedi nudi avanzavano. Attaccato al muro di faccia uno specchio accolse d'un subito, e a mezzo, la sua bizzarra figura bianca procedente con la lentezza d'un fantasma. A un momento ella ristette, e, vinta da un'abitudine irresistibile, vi si rimirò, quasi atteggiandosi.

Mi dissero però ch'era bella, ch'era giovine e poveretta, che aveva pianto tanto, e che prima di morire volle baciarmi. Io l'amo molto mia madre; la sogno sovente, ma in un modo confuso, diverso da tutto ciò che si può vedere nella vita, diverso anche da ciò che si può immaginare. Però quando mi sveglio io non serbo più la memoria di quel fantasma.

Ma come? neanche una foglia si muoveva laggiù, dov'egli lo aveva pur dianzi veduto; alcuno strepito di rami smossi si udiva nella macchia, alcun rumore di passi tra gli sterpi. Un fantasma, dunque? E la povera Gisella nel suo terrore, ed egli sotto la pressione delle braccia di lei, erano stati in balìa d'una medesima allucinazione?

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