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Aggiornato: 8 giugno 2025
non per sapere il numero in che enno li motor di qua sù, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote trïangol sì ch’un retto non avesse. Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, regal prudenza è quel vedere impari in che lo stral di mia intenzion percuote;
Qui poi la fede, che di par col sole certar solea, s'annebbia di sospetto, fulgura il sdegno e zelosia tempesta. Però scusar si deve se, d'un petto scacciato 'l cor dal vermo che l'infesta, non giá d'invidia ma d'amor si dole. «Res est solliciti plena timoris Amor». OVID.
Tuque, Comina, tene guidam temonis, et issa issa, Pedrala, mihi ad ghebbam tuque alta sonantem ad cighignolam velamina pande levanto, Berta, grego, postquam salpata est áncora fundo.
Volgiamo ad est, saliamo un'altura dalla quale diamo l'ultimo addio ad Axum e dopo mezz'ora ci fermiamo per visitare alcune grotte. Un'apertura di poco più di un metro di larghezza per due di altezza d
"C'est au public qu'il faut s'en prendre lorsque la critique est obligée par le succès de s'arrêter
CORONA. In creder alcuno dir male a bon fine. PAOLA. Che male dice? CORONA. Non voglio parlarne. PAOLA. Perché? CORONA. Temerei di qualche maladizione. PAOLA. Or su confortati, figliuola, ché al poledro fu sempre concesso puoter fin a doi capestri rumpere. «Iuvenile vitium est, regere non posse impetum». SEN. CORONA. Non rumpa giá lo terzo.
non per sapere il numero in che enno li motor di qua su`, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote triangol si` ch'un retto non avesse. Onde, se cio` ch'io dissi e questo note, regal prudenza e` quel vedere impari in che lo stral di mia intenzion percuote;
Ma, accioché noi cognosciamo qual fosse la grazia di Dio, dalla quale l'autore tócco si movesse a destarsi del sonno mortale, nel quale la mente sua era legata, e a ravvedersi in qual pericolo fosse l'anima sua è da sapere, sí come il «maestro delle sentenze» afferma, esser quattro grazie quelle che la divina bontá ci presta alla nostra salute: delle quali la prima è chiamata grazia «operante», della quale dice san Paolo: «Per la grazia di Dio io sono quello che io sono»; la seconda grazia si chiama grazia «cooperante», e di questa dice san Paolo medesimo: «La grazia di Dio non fu in me vacua»; la terza grazia si chiama «perseverante», della qual dice il salmista: «Et misericordia eius subsequatur me omnibus diebus vitae meae»; la quarta grazia si chiama «salvante», della quale si legge nell'Evangelio: «De plenitudine eius omnes accepimus gratiam per gratiam». Fa adunque la prima grazia, del malvagio uomo, buono, sí come nel Libro della sapienza si scrive: «Verte ipsum, et non erit»; e san Paolo dice: «Fuistis aliquando tenebrae, nunc autem lux in Domino». La seconda, cioè la cooperante, fa del buono, migliore; e di ciò dice il salmo: «Ibunt de virtute in virtutem». La terza, cioè la perseverante, ne trasporta della via nella patria, della quale dice l'Evangelio: «Qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit»; nell'Apocalissi si legge: «Quicumque vicerit, dabo ei edere de ligno vitae, quod est in paradiso Dei mei»; e in altra parte nell'Apocalissi medesimo: «Quicumque vicerit, faciam illum columnam in templo Dei mei». La quarta, cioè la salvante, secondo i meriti guiderdona i faticanti; di che l'Evangelio dice: «Quid hic statis quotidie ociosi? ite et vos in vineam meam, et quod iustum fuerit dabo vobis»; e san Paolo: «ut recipiat unusquisque secundum ea quae fecit». Di queste quattro grazie, delle quali ho alquanto parlato, percioché piú volte nel processo di questo libro se n'ará a ragionare, piú diffusamente se ne vorrebbe esser detto; nondimeno questo basti al presente.
Sed enim particulares quasdam historias olim scripsisse recordamur, id est, vitam et mores, Ioanni Pici patrui, et Hieronymi, pro quo et adversus invehentem Samuelem unum, et duos de anathemate libros edidimus, ut quæ de Græco vertimus in Latinum, et alia minoris curæ monumenta præteream.
Non deerit et opus aliud in novem distinctum volumina, cui titulus est de Rerum Prænotione, quibus vanæ et noxiæ præsensiones confutantur, et veræ ac religiosæ comprobantur.
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