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Aggiornato: 17 maggio 2025


ESSANDRO. Farò che tocchi la veritá con le mani. NEPITA. Or questo è altra cosa. ESSANDRO. Va' e dille che si facci su la fenestra, ché vuol ragionarmi, e a questo effetto sono qui fuora. NEPITA. Volentieri.

E che quindi fo argomento che non risponde con amore a chi l'ama, con la fede a chi gli è fedele: e non cercando vedermi, come posso creder che m'ami? ESSANDRO. Signora, state sicura ch'egli sempre vi vede. CLERIA. Mi vede, eh? ESSANDRO. Vi vede, vi parla, vi tocca e vi sta sempre appresso. CLERIA. Egli mi tocca e vede? Fioretta, dici da vero? ESSANDRO. Cosí da vero come vi vedo e tocco io.

Ma pur che novelle? PANURGO. Cattivissime, maledettevolissime. Tu sei... ESSANDRO. So che vuoi dire: Misero e serbato dal Cielo a crudelissime passioni! PANURGO. Gerasto n'ha scacciati di casa, dato Cleria a Cintio; e or si fanno le nozze. ESSANDRO. Giá son caduto e morto! PANURGO. Come? ESSANDRO. Tu parli cortelli e lancie; la tua lingua m'ha trapassata la gola come un pugnale.

CLERIA. Come può esser questo vero, se qui non veggio niuno altro che te, altri che tu mi parli? Ma dimmi, Fioretta carissima, sai tu quanto egli m'ami? ESSANDRO. V'ama quanto io. CLERIA. So che tu m'ami, non ne sto in dubbio; ma tu sei mal cambiata da me, che ti amo quanto si può, perché mi rassomigli tutta a tuo fratello. ESSANDRO. Anzi piú m'amaresti, se mi conoscessi.

ESSANDRO. Questa arte m'hai tu forzata a farla, e non devresti ingiuriarmi di cosa di che tu sei stata cagione. NEPITA. Mira con quanta superbia mi favella e mi viene con le dita sugli occhi ancora! Pensi che sia alcuna ricolta dal fango e non si sappi donde mi sia, come tu sei? ESSANDRO. Nepita, tu hai altro con me e mi vai cosí aggirando il capo.

ESSANDRO. Entratevene, che vostro padre non vi vegga. CLERIA. Fa' di modo che tu mi porti bone novelle. ESSANDRO. Bene. CLERIA. E se pur non mi trovasse in fenestra, che fischi, ché verrò subito. ESSANDRO. Me ne vo. CLERIA. Aspetta, aspetta, ascolta questo. ESSANDRO. Entrate, ché Gerasto vostro padre vien fuora; che non vi vegga. GERASTO vecchio, ESSANDRO.

E se pur volessi mandargli qualche salute, bisogneria che mandassi se stesso a lui medesimo; perché egli solo è il mio contento e la mia salute, e sempre che son priva di lui, son inferma e scontentissima. ESSANDRO. Appresso?

ESSANDRO. Ho adesso quell'istesso animo, che ho avuto per lo passato, di fidarmi nella tua fede; mi parrebbe aver compita felicitá, se non ne facesse a te parte. PANURGO. Dite, ché forse ci troveremo rimedio. ESSANDRO. Gerasto... PANURGO. Che cosa Gerasto? ESSANDRO.... ha pur... PANURGO. Che cosa ave? ESSANDRO.... dato... PANURGO. Bastonate a voi, forse? ESSANDRO. Volesselo Iddio!

GERASTO. Su, mano a' fatti, ché la buona volontá senza l'opere non val nulla. Entriamo in casa in quella camera oscura. ESSANDRO. Non posso adesso. GERASTO. Quando le donne non vogliono, dicono non possono. ESSANDRO. Or sapete che la padrona sta gelosa di noi e ci tien sempre gli occhi sopra? GERASTO. Tu dici bene; ma andiamo in questa camera vicina, ch'io ne ho la chiave.

Senza esser visto, l'ho rubbata e ingoiata che non ne trovará un osso. Accostatevi, ascoltate che mugghie: oha, oha. ESSANDRO. Bene. MORFEO. In casa son molte robbe e s'apparecchia un banchetto da re, il tutto è in ordine, e tra poco saremo chiamati a tavola. PANURGO. Padrone, voi state mezzo morto.

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