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Aggiornato: 8 giugno 2025


Solea creder lo mondo in suo periclo che la bella Ciprigna il folle amore raggiasse, volta nel terzo epiciclo; per che non pur a lei faceano onore di sacrificio e di votivo grido le genti antiche ne l'antico errore; ma Dione onoravano e Cupido, quella per madre sua, questo per figlio, e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;

Ivi convien che tutto quanto caschi cio` che 'n grembo a Benaco star non puo`, e fassi fiume giu` per verdi paschi. Tosto che l'acqua a correr mette co, non piu` Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po. Non molto ha corso, ch'el trova una lama, ne la qual si distende e la 'mpaluda; e suol di state talor essere grama.

Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: Chiron prese uno strale, e con la cocca fece la barba in dietro a le mascelle. Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse a' compagni: <<Siete voi accorti che quel di retro move cio` ch'el tocca? Cosi` non soglion far li pie` d'i morti>>. E 'l mio buon duca, che gia` li er'al petto, dove le due nature son consorti,

Divoto mi gittai a' santi piedi; misericordia chiesi e ch'el m'aprisse, ma tre volte nel petto pria mi diedi. Sette P ne la fronte mi descrisse col punton de la spada, e <<Fa che lavi, quando se' dentro, queste piaghe>>, disse. Cenere, o terra che secca si cavi, d'un color fora col suo vestimento; e di sotto da quel trasse due chiavi.

e per trovare a conversione acerba troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l'italica erba, nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno. Quando a colui ch'a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch'el merito` nel suo farsi pusillo,

Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote, pero` che sanza colpa fa vergogna; ma qui tacer nol posso; e per le note di questa comedia, lettor, ti giuro, s'elle non sien di lunga grazia vote, ch'i' vidi per quell'aere grosso e scuro venir notando una figura in suso, maravigliosa ad ogne cor sicuro,

Or s'i' non procedesse avanti piue, 'Dunque, come costui fu sanza pare? comincerebber le parole tue. Ma perche' paia ben cio` che non pare, pensa chi era, e la cagion che 'l mosse, quando fu detto "Chiedi", a dimandare. Non ho parlato si`, che tu non posse ben veder ch'el fu re, che chiese senno accio` che re sufficiente fosse;

Ancor ti puo` nel mondo render fama, ch'el vive, e lunga vita ancor aspetta se 'nnanzi tempo grazia a se' nol chiama>>. Cosi` disse 'l maestro; e quelli in fretta le man distese, e prese 'l duca mio, ond'Ercule senti` gia` grande stretta. Virgilio, quando prender si sentio, disse a me: <<Fatti qua, si` ch'io ti prenda>>; poi fece si` ch'un fascio era elli e io.

E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio li` quasi vetro a lo color ch'el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, <<Che cose son queste?>>, mi pinse con la forza del suo peso: per ch'io di coruscar vidi gran feste.

T. Dunque avrò da lodar la mia fortuna, che qui a quest'ora ha volto il mio camino; che, se brami DAMETA ch'el suo nome per le piante si legga, non ti dee noiar che TIRSE, tuo fedele amico, l'oda sonar ancor per la tua lingua. D. Tu se'qui Tirse? Anzi a me è caro assai che tu ci sia, che con la tua zampogna porger potrai soccorso a le mie note T. Ciò ch'a te piace.

Parola Del Giorno

s'alceste

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