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Non fu latente la santa intenzione de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi dove volea menar mia professione. Pero` ricominciai: <<Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi: che' l'essere del mondo e l'esser mio, la morte ch'el sostenne perch'io viva, e quel che spera ogne fedel com'io,

e se' rivolge per veder se 'l vetro li dice il vero, e vede ch'el s'accorda con esso come nota con suo metro; cosi` la mia memoria si ricorda ch'io feci riguardando ne' belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. E com'io mi rivolsi e furon tocchi li miei da cio` che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi,

Ma poco poi sara` da Dio sofferto nel santo officio; ch'el sara` detruso la` dove Simon mago e` per suo merto, e fara` quel d'Alagna intrar piu` giuso>>. Paradiso: Canto XXXI In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; ma l'altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la 'nnamora e la bonta` che la fece cotanta,

Ancor ti puo` nel mondo render fama, ch'el vive, e lunga vita ancor aspetta se 'nnanzi tempo grazia a se' nol chiama>>. Cosi` disse 'l maestro; e quelli in fretta le man distese, e prese 'l duca mio, ond'Ercule senti` gia` grande stretta. Virgilio, quando prender si sentio, disse a me: <<Fatti qua, si` ch'io ti prenda>>; poi fece si` ch'un fascio era elli e io.

Me voresti fare le male cose come fa lo mastro alli scolari, eh? CURZIO. So ch'el confessa senza tratto di corda. MALFATTO. Ché non me li date qua, se volete? CURZIO. Non ho dinari appresso. Vieni, su la fede mia. MALFATTO. Andiamo, ! Volete che venga dinanzi o drieto? CURZIO. Vieni come vòi tu. Oh che dolce spasso è questo di costui!

Di questa costa, la` dov'ella frange piu` sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange. Pero` chi d'esso loco fa parole, non dica Ascesi, che' direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole. Non era ancor molto lontan da l'orto, ch'el comincio` a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto;

Vedi quanta virtu` l'ha fatto degno di reverenza; e comincio` da l'ora che Pallante mori` per darli regno. Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre a' tre pugnar per lui ancora. E sai ch'el fe' dal mal de le Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine.

E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio li` quasi vetro a lo color ch'el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, <<Che cose son queste?>>, mi pinse con la forza del suo peso: per ch'io di coruscar vidi gran feste.

Di questa costa, la` dov'ella frange piu` sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange. Pero` chi d'esso loco fa parole, non dica Ascesi, che' direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole. Non era ancor molto lontan da l'orto, ch'el comincio` a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto;

CLEMENZIA. Ed un'altra cosa m'è avvenuta, che anco di questo non so che me ne indovinare: ben ch'el mio confessore mi dica ch'io fo male a por mente a queste cose e dar fede alli augúri. VIRGINIO. Che fai, che tu parli cosí drento a te? Egli ha pur passata la befania. CLEMENZIA. Oh! Buon , Virginio. Se Dio m'aiuti, ch'io mi venivo a stare un pezzo con voi. Ma voi vi sète levato molto per tempo.