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La sa; e me ha imparato a me sino al «be a ba, be e be». CURZIO. Voi non respondete? Molto state cheto.

Le sue parole «forgive me! Be kind to memi avevano messo in cuore un gelo di spavento. Alle prime righe avevo esultato, e poi letto rapidamente, divorato ogni frase amara con avidit

Gran peccato che un tanto omo non sappi bere le donne! CALANDRO. Deh! insegnami. FESSENIO. Dirotti. Quando la baci, non la succi tu? CALANDRO. . FESSENIO. E quando si beve, non si succia? CALANDRO. . FESSENIO. Be'! Allora che, basciando, succi una donna, tu te la bevi. CALANDRO. Parmi che sia cosí. Madesine! Ma pure io non mi ho mai beuto Fulvia mia; e pure baciata l'ho mille volte.

LIDIO femina. Oh! io saria visto. RUFFO. Vero. Ma la vole che lo spirito ti costringa andarvi in forma di donna. FANNIO. E che vuol far di lui, se la pensa lo spirito lo converta in donna? RUFFO. Penso volessi dire in abito, non in forma di donna. Pur ella cosí disse. LIDIO femina. È bella trama: hai tu notato, Fannio? FANNIO. Benissimo. E piacemi assai. RUFFO. Be', volete darli effetto?

Vedilo che va in . O Ruffo! o Ruffo! Non odi, Ruffo? RUFFO. Io pur mi volto vedo chi mi chiama. SAMIA. Aspetta! RUFFO. Chi è costei? SAMIA. M'hai fatta tutta sudare. RUFFO. Be', che vuoi? SAMIA. La padrona mia ti prega che or ora tu vadi da lei. RUFFO. Chi è la padrona tua? SAMIA. Fulvia. RUFFO. Donna di Calandro? SAMIA. Quella, . RUFFO. Che vuol da me? SAMIA. Ella tel dirá.

ed essa e l’altre mossero a sua danza, e quasi velocissime faville mi si velar di sùbita distanza. Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’ fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna che mi diseta con le dolci stille’. Ma quella reverenza che s’indonna di tutto me, pur per Be e per ice, mi richinava come l’uom ch’assonna.

RUFFO. Or be', che vuoi fare? LIDIO femina. Ti par cosa da lassare? RUFFO. Eh! eh! eh! L'amico si risente. E ne hai bene ragione, Lidio, ché, per certo, l'è un sole. LIDIO femina. La conosco e so dove sta a punto. FANNIO. Se ne trarrá piacere. RUFFO. Ed utile.

RUFINO. Che volete che faccia de vostra composizione, io? c'ho piú caro un carlino che non quanti scartabelli si trovano, ch'io appena li so leggere. PRUDENZIO. Un'altra cosa. Come voi farete figlioli, voglio che li mandate alla nostra scuola senza mercede. RUFINO. E come volete ch'io li abbia, se non ho moglie? PRUDENZIO. Be', quando la pigliarete poi. RUFINO. Voi me avete bello e chiarito.

FULVIA. Ben ricordi. El gran disio d'esser con Lidio in modo mi accecò che piú oltre non pensai. Ma dimmi, Fessenio caro: hai trovato Lidio mio? FESSENIO. Corre il sangue ov'è la percossa. Ho. FULVIA. ? FESSENIO. . FULVIA. Be', Fessenio mio: che dice? Dimmi. FESSENIO. Non partirá cosí presto. FULVIA. Doh Dio! Quando potrò io parlar seco?

MALFATTO. Però l'ho fatto: per non crepare. PRUDENZIO. Taci, inconsiderato adolescente! È possibile che non ti aricordi ove stia quella casa dove che sono entrati coloro? MALFATTO. Chi ve l'ha detto? PRUDENZIO. Dicemolo noi. MALFATTO. Be', lassateli dire, ché non dicono lo vero.