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Aggiornato: 7 giugno 2025
FESSENIO. Imparate, amanti, questi bei detti. CALANDRO. Se io l'ho mai, tutta me la mangerò. FESSENIO. Mangiare? Ah! ah! Calandro, pietá di lei. Le fiere l'altre fiere mangiano; non gli omini le donne. Egli è ben vero che la donna si beve, non si mangia. CALANDRO. Come! si beve? FESSENIO. Si beve, sí. CALANDRO. O in che modo? FESSENIO. Nol sai? CALANDRO. Non certo. FESSENIO. Oh!
Da che eccelse scaturigini tu nasci, O pensiero zampillante? A te beve, secco il labbro e il petto ansante, L’assetata umanit
Un'altra sera, con passo maestoso, s'introducevano in un caffè e, con un mazzo di chiavine, battevano fortemente sopra una tavola. Un cameriere accorreva di corsa e chiedeva a Lucio Paglia: Che cosa beve il signore? Io nulla. E Alfonso Errera: A me pure: ma con acqua di Seltz.
Regna ivi una grande animazione: tutti si siedono a tavola e mangiano maccheroni ed ottime frittate; vi si beve però del pessimo vino. Ad ogni momento sopraggiunge una carrozza od una persona a cavallo od una squadra di sbirri che tornano da perlustrare la vicina foresta, ho sentito uno di questi vantarsi di aver freddato il giorno innanzi con una schioppettata un brigante. Abbiamo visto anche arrivare da Porto d'Anzio un convoglio di galeotti, seduti sopra un carro, incatenati a due a due; fra di essi vi erano dei bei giovani, vestiti pulitamente, con cappelli di paglia, camice linde, cravatta di seta svolazzante; giunti a Roma, questi dovevano essere lasciati in libert
STRAGUALCIA. Quand'io son morto, fatemi un brodetto agli archi. FABRIZIO. Basta che, ne la prima gionta, questa terra mi piace assai. E a te, Stragualcia? STRAGUALCIA. A me pare un paradiso, ché non vi si mangia e non vi si beve. Orsú! Non perdiam piú tempo a veder la terra, ché la vedremo a bello agio. PEDANTE. Tu vedrai qui il piú solenne campanile che sia in tutta la machina mondiale.
Quando è servito il liquido ad un personaggio importante, questi ne versa qualche goccia nel palmo della mano di chi lo offre, il quale lo beve, come a prova che non c'è pericolo di veleno.
Tutti i cavalieri appiedati, guidando per mano i cavalli che affondavano continuamente nella pece saponacea del terreno. Urti e scossoni infiniti, bestemmie, comandi non ascoltati, ingiurie, gomitate, calci di muli. Un cavallo s'impenna e resta preso colle zampe in un reticolato. Un mulo non si districa più dai filari. Un altro è crollato giù nel fosso profondo. Beve. Si gonfia d'acqua. Una corda!
Scomparsi, ma non perduti. Come non si perde l'acqua fecondatrice che la terra beve e rispande in umor vitale su per le fibre dell'erbe e degli alberi, tale è di tutto ciò, che fu la grande arte sua: gli accenti, gli atti, gli sguardi, tramutati in forza di passione e di idee nella generazione che li vide e li udì, operano ancora, eredit
Tocco la tazza dove beve il mio padrone, che è d'argento; non posso toccar te? NEPITA. Pensi che se lo sapessero i miei parenti, non te ne farebbono pentire? GRANCHIO. Tocca tu me, che i miei parenti non se ne curano. NEPITA. Tu sei ben un cattivo. GRANCHIO. Cattive son le vesti, ché, si mi vedesti nudo, ti parrei bellissimo. NARTICOFORO. Tu veramente deliri e patisci di lucidi intervalli.
Se penso alla mia d’allora, su l’orlo della vita, la rassomiglio alla farfalla quando beve; che ha le ali rialzate e congiunte dalla parte degli screzii e dei colori come quattro pagine combaciate dalla parte dello scritto. Gherardo Ismera. E dopo? Giana.
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