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Egli m'ha imposto per diciotto anni un suo bastardo e per liberarmene l'ho minacciato di tutto rivelare ed egli.... guardate..... m'ha fatto finire... finire, prete assassino.... giustizia! E cadde rovescio col capo penzoloni fuori dal letto, livido, convulso. Era orribile: qualcosa di infernale. Il medico osservò che la morte non poteva tardare.

E dunque, vita per vita, pace per pace, onore per onore, non t'eri forse pagato abbastanza con me, assassino? Sandro, così come gli appariva allora, non aveva mai veduta la Nena... Non era più la fanciulla innamorata sommessa che gli stava dinanzi; era un'altra donna. Al Frascolini pareva che in lei si fosse incarnato il proprio rimorso.

Te lo dirò; ma tu, come servitore in casa Cènci? Per ammazzare il Conte assassino di Annetta Riparella, la fanciulla di Vittana. Ed io per ammazzare domani un certo Marzio, il quale penso che deva essere un po' tuo parente. Me? Come hai indovinato giusto! Ma io l'ho detto sempre, che tu contieni più seme di un cocomero. E tu lo farai? Ho riscosso il prezzo; e tu sai la regola di sicario onorato.

E ritastava il pugnale: arma proibita, arma italiana che lo straniero condanna, come se la baionetta o la scimitarra bagnate da lui tante volte nel sangue innocente, siano armi più nobili d'un pugnale immerso nel petto d'un assassino o confitto in quello d'un tiranno.

Inoltre da quel revolver mal chiuso una cartuccia era venuta fuori nella caduta: ciò si spiegava molto bene da parte d'una donna poco pratica nel maneggio delle armi, d'una suicida le cui mani dovevano per altre ragioni tremare, e non si spiegava da parte d'un assassino.

Roberto abbassò lentamente l'arma e senza rispondere alla domanda disse: Non vi credevo un assassino. Volevo ucciderla.

Una mattina indugiò dieci minuti a recarsi al suo lavoro. Ciò parve enorme. Si mandò per lui: era steso, immobile nel letto. Era morto nel sonno. La fisonomia placida, veneranda, le mani conserte sul petto, lo avresti detto un santo, piuttosto che un vecchio assassino. Il giorno stesso della morte di lui fu chiamato a sostituirlo, nella stanza del soprintendente, Roberto.

Mostro! cane! assassino! urlò il Rota a quella vista se tu osi toccare anche una volta quella povera bestia, io ti mando all'inferno con due palle di piombo nel cervello! Così parlando, il Rota aveva tratto un revolver e lo aveva appuntato contro l'aguzzino, pronto a vibrare il suo colpo se quegli avesse osato reagire.

Povero conte di Squirace! esclamava la signora Teodora, era un discreto giovinetto.... Ma l'altro: quello che fu condannato come assassino, che bell'uomo: un uomo come oggi se ne vedono pochi!... E che spalle!... Per me era innocente! Il marchese crollava la testa. Oh, allora lo dicevano molti, soggiunse la signora Teodora. Anche mio zio, che era un avvocato di molto grido....

Pelamatti, pela tu questo matto, toglili le vesti; e se non si lascia pelare, peliamolo a pugni. PELAMATTI. Lascia, ladro assassino! PANURGO. Voi mi spogliate in mezzo la strada e mi chiamate ladro assassino. GERASTO. Mira con quanta prosonzione costoro lo trattano male! NARTICOFORO. Devono esser genti senza vergogna o non lo devono conoscere o l'aran preso in cambio.