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Questo soliloquio somiglia a quel sonetto del Petrarca che incomincia: Sennuccio, i' vo' che sappi in qual maniera. «Gandharvas», uno de' nomi che gl'indiani dánno alle schiere celesti o sia geni buoni, chiamati altrimenti «dewta». Gl'indiani hanno otto diverse maniere di nozze. Quelle secondo i riti de' gandharvas sono le piú clandestine, e nondimeno legittime come tutte le altre.

TRIPERUNO. Meglio è martire che confessore. LIMERNO. Cotesto è piú che vero. Ma veggiamo finalmente lo sonetto di Mirtella, la cui sorte fu questa: SOLE, MORTE, TEMPO, CARRO, IMPERATRICE, MATTO Simil pazzia non trovo sotto 'l Sole, di chi a gioir del Tempo tempo aspetta: Morte, su 'l Carro Imperatrice, affretta mandar in polve nostra umana prole.

La cosa andò avanti così un bel pezzo, tra un trillo di flauto, un sonetto e un secchiello d'acqua, quando Malgoni ammalò gravemente di quel suo battito di cuore e parve sul punto d'andarsene all'altro mondo. Franzon si mise al letto dell'amico e gli usò una assistenza fraterna.

Una mattina l’Ab. Carì dopo di aver celebrato messa nella chiesa di S. Matteo, si stava spogliando degli abiti sacerdotali nella sagrestia. Nel frattempo gli si presenta un uomo, che lo prega di volere udire due suoi sonetti, o di dirgli quale gli sembri degno di vedere la luce. L’ab. Carì china benevolmente il capo ad ascoltare. Mentre lo sconosciuto legge il primo sonetto, il Carì si fa brutto in faccia. Finita la lettura, gli dice secco secco: «Stampate l’altro».

La cosa andò avanti così un bel pezzo, tra un trillo di flauto, un sonetto e un secchiello d'acqua, quando Malgoni ammalò gravemente di quel suo battito di cuore e parve sul punto d'andarsene all'altro mondo. Franzon si mise al letto dell'amico e gli usò una assistenza fraterna.

TRIPERUNO. Questo altro sonetto appresso di me piú del primo lodevole mi pare: cosa che giá per lo contrario giudicai da prima dover essere, attendendovi quella sorte del «Bagattella» non potere se non li soli consorti disconciare. Ma, come a me pare, de gli altri assai meglio vi quadra.

A narrarne la fortissima doglia non bastando noi stessi, ci soccorre per ventura messer Cino medesimo; e perchè meglio non potremmo porgerne idea, faremo di riportare il Sonetto, ch’ei ne lasciava nel suo Canzoniere, in morte di lei; dov’egli ricorda quel suo doloroso passaggio, e quell’estremo ufficio d’amore.

Questo sonetto, appena comparso, andò a ruba e, divenuto raro, per onorevole eccezione veniva ristampato dalla Raccolta di Notizie, come vedremo, specie di giornale ufficiale d’allora in Palermo. La imitazione dell’Alfieri ci si sente in ogni verso.

Pare vi sia stata una vera fioritura di giocatori, ma pare altresì che non tutti fossero i robusti dei quali parla il Villabianca; perchè, proprio in quell’anno, D. Francesco Carì componeva il seguente pepato sonetto:

Il lettore che sa di storia letteraria di Sicilia può farci qui un appunto cronologico. Il sonetto del Meli è del 1805, e l’Accademia era nata quindici anni prima.