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Io mi ritrovavo in Polonia nel tempo che ivi era il signor Tiepolo Giovanni ambasciatore a quella corona, il quale oltre a quello che aveva negoziato con quel re e fattolo armare, ha anche fatto che inviasse un ambasciatore al re di Persia, e subito egli spedì uno che si dimandò Slich nobile polacco, per invitarlo a muover la guerra contro i Turchi, e destinò ed elesse S. M. me per suo compagno nella ambasceria, e ci furono date dall'ill.mo Giovanni Tiepolo lettere di Vostra Serenit

Il Dutolet lo scorse allora, e non potè trattenere un gesto d'ingrata maraviglia. Se ne avvide Maurizio; ma non aveva da offendersi per così poco. Egli aveva lasciata una lettera per voi? domandò, indicando un foglio che l'ufficiale teneva ancora aperto tra mani. , per me, che pure mi ritrovavo a pochi passi da lui; rispose l'ufficiale. Povero conte! come ha dovuto soffrire, scrivendola!

Ora siccome in questa vita i pensosi sono, per lo più, i disgraziati, io che lo aveva visto dall'alto della scala piantato a quel modo, e me lo ritrovavo nella stessa posizione appena dall'ultimo gradino mettevo piede nel vicoletto, dissi tra me e me: Ecco uno che certamente crogiuola i guai suoi. Il vicolo era pieno di buon sole e di silenzio. Improvvisamente fu pieno di musica.

Lo vedevo cinto di contrabbandieri trafugare ai confini della Toscana i rivoluzionari romagnoli, vestito di una piccola giacca col fucile sulle spalle: lo vedevo prete al letto dei malati, al banco degli sposi, agli altari delle chiese: lo ritrovavo cacciatore sui monti col gabbione sulle spalle, a sera innanzi la piccola casa curando gli uccelli nelle gabbie assistito dagli stessi monelli che lo aiutavano nel paretaio; lo seguivo nelle caccie alla lepre.

Ora toccava a me a salire colle mie proprie ali. Era il momento di mostrarmi degna di Lui. Avevo avuta io pure la mia ghirlanda, basta. Può un fiore durare più di un fiore? Ma mentre mi rendevo così ragione di tutto non ritrovavo la calma. L'amo! l'amo! l'amo!

Il mio cuore infatti non ne era stato turbato, non aveva palpitato insolitamente in quel primo incontro, dopo. Io ritrovavo in essa la bella e ben costituita macchina di creazione che appunto ricercavo, e non mi importava niente se in me o in lei mancasse qualcuno degli accessori che dagli altri venivano strettamente reputati come cosa principale.

Se non che notavo un particolare. Niente mi parlava di Fausta, come se ella sdegnasse di ripresentarsi alla mia mente, di far ripalpitare il mio cuore. Non la ritrovavo in nessun angolo di quella casa che pure era stata illuminata dai suoi sorrisi, che avea risonato della sua voce, delle sue gaie risate nei bei giorni dell'attesa.

Io piangeva, udendo questa parola. Egli non soggiungeva nulla, lasciandomi piangere, asciugando le mie lacrime col suo fazzoletto, con un moto gentile quale dovette esser quello di Veronica con Gesù, carezzando fugacemente i miei capelli, come benedicendomi. Non altro. Lentamente, le mie lacrime s'inaridivano, la mia anima si quietava e io comprendeva che, ancora una volta, l'amore di Giustino Morelli era stato il mio unico conforto. Tornavo a casa tranquilla, con una novella forza in me e con una lieta luce negli occhi. Mio marito mi guardava, diffidente: e la sua diffidenza lo spingeva all'ira, e nell'ira egli m'infliggeva una di quelle brevi o lunghe scene che erano il tossico della mia vita. Che importa? Io aveva il contravveleno. Chiusa nella sublime fiducia dell'amore che Giustino Morelli mi portava, sapendo che vi era nel mondo, nel vasto mondo così deserto di ogni gioia, qualcuno che mi voleva bene, che mi adorava in una dedizione continua di stesso, io opponeva a mio marito una glaciale indifferenza. Mio marito mi lasciava: io andava nella mia stanza, mi buttava sul letto, con la bocca sul cuscino per poter ripetere il nome soavissimo di colui che era il mio salvatore. Tutta l'anima mia, allora, si prostrava, si abbandonava, in un'estasi di tenerissima gratitudine per il beneficio di quell'amore che era il liquore essenziale di ogni mia forza. Non sapendo come sfogare ciò che mi soffocava, trovavo modo di scrivergli, lungamente, confusamente, delle lettere che, spesso, dovevo lacerare senza potergliele inviare: raramente, arrivavo a spedirgliene una. Di lontano, io calcolavo sentimentalmente che effetto gli avrebbe fatto la prova che il cuore di Anna, della sua Anna, gli apparteneva e si dava a lui, novellamente e sempre con entusiasmo. Ma i miei calcoli sentimentali fallivano spesso. Io non lo rivedeva subito. Egli non mi rispondeva mai. Finivo per non sapere nulla. Dimenticavo la mia lettera. Quando, per una scarsa e fortunata combinazione, mi ritrovavo con lui, non gli parlavo più di nulla, felice solo di essere accanto a lui. Sentivo che l'impetuosit