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«De profundis clamavi....» .... Pace a l’anima tua, pace, o vegliardo, Che Dio portasti nel clemente sguardo E nei detti soavi Che ai solitari, ai mesti, Ai deboli, ai fanciulli eri sostegno Che, molto amando, lo spregiato regno De gli umili scegliesti!... «De profundis...» Le cime L’ultimo sole illuminò di rosa. Palpitò nel silenzio d’ogni cosa Una piet

"Non più tardi di ieri, sentii che la Regina diceva che tu meriteresti d'essere decollato!" "Perchè?" domandò il primo che avea parlato. "Ciò non preme a te, Due!" ripose Sette. "Gli preme, certo!" disse Cinque, "e gliel dirò io perchè portasti al cuoco bulbi di tulipano invece di cipolle."

Oh quanto egli è soave L'errar su l'orme di stessi, ignoti Agli occhi dei saccenti! oh come il filo Dolce si snoda dei pensieri all'ombra Coperta d'una siepe! ecco ti sfugge Di mano il libro che portasti grave Di logorati sillogismi e stai A leggere te stesso.

Ed il fanal fu stelo di giglio in un albór quasi divino. Monos e Una. Ti strappasti tu l’anima, per farne corda che vibri al tocco dell’archetto?... Da qual paese ignoto e maledetto fin qui portasti le tue gambe scarne?... Curvo, e quasi incorporëo nel tinto frac slabbrato alle falde, coi capegli lungo-spioventi intorno al bianco degli zigomi aguzzi, hai l’umilt

Dio dell’ombra e del vuoto, Che salisti il Calvario, Che portasti la croce, Che cingesti le spine, Ascolta la mia voce, Allontana la fine, Piet

Non hai tu disse Liberato di ciò troppo da rammaricarti e da dolerti, che dove una fiata portasti sopra gli omeri tuoi il nostro Signore, leggerissimo e soave peso, ne la santa cittá di Ierusalem, ora ti converrebbe portare i suoi vicari e suoi discepoli per oscuri boschi e per le frondute selve, discorrendo or in qua or in , a le maggiori fatiche del mondo, senza che oltre al convenevole saresti carico d'una gravissima soma, in maniera che staresti male.

Sotto la chioma d’ôr fina e fluente Sei tutta bianca, e le rosate nari Vibran nervosamente: Dice il labbro serrato: «Io penso e voglioDice la fronte non curvata mai: «Io nacqui al lauro e al soglio.» .... Senti. È ver che sei morta, o bionda Slava, Che tesori d’ingegno a noi portasti Dai ghiacci di Poltawa;