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¹⁵¹ Liban., I, 612, 10 sg. Sedici anni dopo, Libanio, nel discorso diretto all’imperatore Teodosio, appena chiamato a reggere l’Oriente, per muoverlo a vendicare Giuliano, ritorna alla carica, e, non conoscendo ancora le tendenze cristiane del nuovo imperatore, lo eccita contro i Cristiani, additandoli come i colpevoli. Egli dice che Giuliano fu ferito da un certo Tajeno

Il ministro rivolge i suoi reclami all’imperatore e questi esorta Giuliano ad aver fiducia in Florenzio. Ma Giuliano è irremovibile; non vuole neppur leggere lo scritto contenente le proposte di Florenzio, ed, in un momento di sdegno, lo scaglia a terra.

Aveva conosciuto Giuliano giovinetto, se non di persona, almeno di fama, ed aveva come tanti altri, riposte le sue speranze in lui. Era, dunque, naturale ch’egli salutasse, con vero entusiasmo, l’astro del nuovo imperatore, appena sorto sull’orizzonte, ed approvasse ed aiutasse, con tutta l’anima, la sua impresa di restaurazione ellenica. Ed è pur naturale che l’improvvisa caduta di tante speranze lo gittasse in una profonda desolazione. Di questi suoi sentimenti di gioia e di dolore Libanio ci lasciò l’eloquente espressione in sette discorsi, di cui quattro scritti durante il breve regno di Giuliano. Due di questi, il Saluto, pronunciato all’entrata di Giuliano in Antiochia, e l’altro All’imperatore console, scritto in occasione del consolato di Giuliano, sono inni di gioia per l’inaugurazione della nuova primavera ellenica, voluta dal geniale imperatore. Altri due di quei discorsi, l’Ambasciata e il Discorso dell’ira, sono destinati a riconciliare l’irritato Giuliano con la frivola e frondeuse Antiochia. Due altri, Il Lamento solitario e la Necrologia, sono gridi di dolore per la morte dell’eroe. La Necrologia è una vera storia di Giuliano. Il piangente Libanio narra lungamente tutta la vita dell’imperatore. È un documento fondamentale per chi voglia studiare Giuliano ed il suo tempo. Il discorso Della vendetta fu scritto sedici anni dopo la morte di Giuliano, e diretto all’imperatore Teodosio, quando questi fu chiamato da Graziano ad assumere l’impero d’Oriente. Libanio, completamente illuso sulle tendenze del giovane e sconosciuto Teodosio, lo eccita a vendicare Giuliano, come solo mezzo per indurre gli Dei a fermare il corso delle calamit

Fra gli atti di persecuzione attribuiti all’imperatore, Gregorio pone, come gi

Luglio 1901. La sorte toccata all’imperatore Giuliano è davvero miseranda. Nessuna figura, nella decadenza dell’impero, più originale, più interessante, più attraente della sua. Ma la tradizione ecclesiastica gli è stata terribilmente nemica; gli ha impresso il marchio dell’apostata e, con questa qualifica, lo ha condannato all’abbominio ed all’oscurit

Così narra Ammiano, e da lui non discorda Giuliano stesso nell’elogio dell’imperatrice Eusebia ch’egli scrisse per attestarle la sua riconoscenza, elogio nel quale il nuovo Cesare, come negli altri due discorsi diretti all’imperatore Costanzo, cela, sotto la maschera della devozione, i suoi veri sentimenti. Egli pure narra le pompe solenni e i donativi ricevuti, specialmente da Eusebia. Ed insiste su di un pensiero tanto gentile dell’imperatrice che basta a dimostrarci come, fra lei e Giuliano, dovessero correre relazioni confidenziali ben più strette di quanto appare dai discorsi ufficiali. «Io voglio, egli scrive, rammentare uno dei suoi doni, perchè ne ho avuto un singolare godimento. Siccome essa sapeva che io avevo portati con me pochissimi libri, nella speranza e nel desiderio di ritornarmene a casa il più presto possibile, così me ne diede tanti e di filosofia e di storia e di retorica e di poesia da soddisfare largamente il non mai saziato mio desiderio dei loro colloqui, e da trasformare la Gallia in un Museo di libri greci. Non staccandomi mai da quel dono, non è possibile che mi dimentichi della donatrice. E, quando io parto per una spedizione di guerra, ho meco uno di quei libri come un viatico della marcia»⁵⁵. Giuliano si esalta nell’esprimere l’ammirazione per la sua protettrice. «Quando io giunsi al suo cospetto, mi parve di vedere, in un tempio, ritta la statua della saggezza. La riverenza empì l’anima mia, ed inchiodò, per qualche tempo, i miei occhi al suolo, finchè essa mi esortò ad aver coraggio.