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Aggiornato: 19 giugno 2025
Voi, nel tesoro della vostra benevolenza, mi procedete parziale oltre il dovere, onorandissimo don Curzio: comunque sia, gran mercè dello amor vostro. Io, Signori miei, vi era quasi diventato straniero: temeva che il mio apparirvi dinanzi vi spaventasse, come di uomo tornato dall'antro di Trofonio; ma che volete? Me rodeva una immensa tristezza... l'iniquo male! Ed io, che provo com'egli trapani le viscere, l'ho portato sempre studiosamente chiuso nel petto, per tema che mi avvenisse come a Pandora quando aperse incautamente il vaso, e versò, senza volerlo, sul mondo la famiglia infinita dei malanni. La tristezza è la polvere sottile che solleva il vento di levante; da per tutto s'insinua, a tutto si attacca, e opprime di sgomento anime e corpi. Il malinconico, per causa più forte del lebbroso, ha da cacciarsi fuori dei tabernacoli d'Israele, e dai festini degli eredi di Anacreonte io parlo per voi, chierici, a cui mi piace professare venerazione e rispetto: in quanto a voi altri laici, forse avrei proceduto senza cerimonie... ma no... ho pensato che se io aveva causa sufficiente a gittarmi via, alberi e fiumi per appendermi, od affogarmi mercè di Dio non ne mancavano; e non doveva pormi indiscretamente tra il sole e voi per abbuiarvi la vita. Io poi non mi sono impiccato perchè, bene considerata la cosa, la morte è un brutto quarto di ora e di più, su le cose che si fanno una volta sola, ho inteso sempre dire ch'è savio pensarci sopra due; ma neppure volli contristarvi con la mia presenza. Adesso, che un filo di luce viene a rischiarare obliquamente il buio della mia anima, scoto la chioma da questa cenere; colgo anche una fiata forse l'ultima una rosa, e ve la intreccio dentro. Certo durante il verno non si vorrebbe nudrire vaghezza di rose, nè il gentil fiore si educa in mezzo alla neve... pure in questa alma Italia, e ve ne fa prova Beatrice mia, in ogni stagione crescono le rose; e se non ne trovi nel tuo giardino, va in quello altrui, e coglile o strappale. Sì, strappale a forza; perchè, qual legge condanner
Dopo il cerotto di Sant'Antonio, la via era aperta. Un giorno contemplando la mia signora che si svestiva allo specchio, esclamai: «Dio, che tesori! ma perchè devono esistere fanciulle clorotiche, smunte, senza l'onore di quel seno e perciò prive della venerazione degli uomini e della santa gioia della maternit
Il nostro ospite ci aveva fatto assaggiare parecchi de' suoi vini di Sicilia; eravamo tutti di buon umore. Il professore ci spiegava come serbasse una specie di venerazione per quella festa, perchè era stata da tempo immemorabile oggetto di culto nella sua famiglia.
Il partito internazionale rinnega la patria e la famiglia. Pe’ suoi apostoli la costituzione spartana è un rancidume, perchè essi vogliono abbattere le frontiere domestiche e le frontiere nazionali. Le frontiere domestiche e le frontiere nazionali erano sacre a Garibaldi. Egli aveva una venerazione per la famiglia; e la patria per lui era una religione.
Accanto alla illustre e martire famiglia dei Cairoli, e di tante altre per cui veste lutto l'Italia militante, l'Italia dei generosi! posiamo alla venerazione di tutti, quella dei Bronzetti. Il maggiore, caduto contro gli austriaci a Seriate. Il secondo, non meno eroicamente, a Castel Morrone.
Pei poeti del Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento non fu poco imbarazzo quello in cui li metteva da un lato la venerazione entusiastica ch'erano tentati di tributare alle cose degli antichi allora scoperte, e dall'altro la inconvenienza di ripeterne servilmente le forme estetiche.
La somiglianza quasi perfetta di que' due volti, pallidi ambidue, sbattuti e atteggiati al dolore; quella madre ancora giovane, ancora avvenente, abbracciata dal suo unico figliuolo, con quell'atto d'amore insieme e di venerazione, avrebbero al certo fatta una impressione particolare in chi che sia li avesse veduti in quel punto.
E la conversazione non ebbe altro seguito. Rammento ancora il brutto senso che fece in me, scolaretto di grammatica, e con tutta la maggior venerazione per l'ingegno di Vincenzo Monti, la chiusa dell'Aristodemo, con quel suo endecasillabo così povero di concetto e finito così malamente in tronco: «Qual morte! Egli spirò».
E afferratale la destra, con un repentino slancio, in cui la sua passione, per tanto tempo rattenuta, scoppiava finalmente senza freni, vittoriosa: Rimani, Loreta, rimani.... Non capisci che senza di te la mia esistenza sarebbe infranta? Non capisci che tu sei la mia pace, il mio solo pensiero, l'unico e caro mio amore?... Senti: è vero, io non ti posso più dare nè gli entusiasmi della giovinezza, nè le ebbrezze di un'anima ancora sorridente. Ma questo sì ti posso dare: un affetto puro, una venerazione costante che sar
La Duchessa ebbe un sorriso contento, e chinò il capo. Ricca? La Duchessa alzò il capo. Tre milioni susurrò poi con dolcezza infinita, assaporando lentamente la frase. Giuliano guardò sua madre sul serio. L'aveva sempre stimata, ma ora una specie di languida venerazione sorgeva nel suo animo. Ah! ho capito. La figlia d'un banchiere ebreo.
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