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Aggiornato: 27 giugno 2025
Però se sarai d'accordo meco e secondarai il mio desiderio, buon per te; ché se mi accorgo che mi fai delle tue, guai a te. CRICCA. Eccomi cosí manigoldo come voi dite, per ubidirvi e pormi ad ogni rischio per amor vostro. PANDOLFO. Ma perché dubito che cosí sia in mio favore come tu diventar uomo da bene, vo' che mi giuri prima. CRICCA. Giuro a....
Quel seccatore mi tiene d'occhio disse l'Ottavia all'amico; abbi pazienza, vo e torno. E con la maest
E leviamoci di questa strada presto, acciò non c'intopassimo in lui: ch'io non vo' che sappia ch'io sia in Roma insino a tanto ch'io non l'ho in luogo ove che non mi possa fuggire. RITA. Voltate di qua, se vi piace, ché l'è piú corta. MALFATTO servo, CECA serva.
FILASTORGO. Io vo' che impari esser figlio da chi veramente sa esser padre, vo' che sia essempio a tutti i figli del mondo, vo' piú tosto esser detto severo destruttor di figliuoli che padre che abbi consentito alle sue sceleraggini.
Ed ecco ora com'ei li rimerita! Oh, per questo, non dubitate; disse il Maso a lui di rimando. E potrebbe darsi ancora che il Bardineto avesse fatto male i suoi conti. Io me ne vo difilato da messere Antonello e gli spiffero ogni cosa. Mastro Bernardo rimase un tratto sovra pensiero.
PANURGO. Io son Arcifacio, son Faciissimo. PELAMATTI. Me ne vo dunque: voi non sète quel che cerco. Vo' Facio, non Arcifacio né Faciissimo. PANURGO. Io son quello che cerchi, or vengo dalla bottega di maestro Rampino, ché mi desse le vesti; e disse avermele inviate per un suo servo; e or aspettandole stava passeggiando dinanzi la mia casa. PELAMATTI. Queste son dunque le vesti che aspettavate?
GIACOMINO. A prieghi aggiongeró qualche scudo, ché dica quella bugia: ché se delle bugie se ne dicono le migliaia senza pagamento, quante se ne diranno per denari? I danari son l'unguento de tutti i mali. Io vo a chiamar le donne. CAPPIO. Presto, ch'ogni tardanza ci potrebbe apportar danno.
«Ah! dice Nunziata mia, lassateme i'! Io aggio fatto 'o voto a chella bella Madonna 'e Pumpeie ca si mme scanza a ffigliemo 'a stu guaio ca vo' passá, io nce 'o porto 'e cera sano sano!... Essa me l'ha dda fa vedé sistemato c'a capa e io, nun porta c'avesse nchiurere ll'uocchie ncopp'a quacche fissazione d' 'a soia, io nchiudo l'uocchie e faccio 'a voluntá 'e Dio!
GULONE. A tuo dispetto, or vo ad un banchetto in casa d'un amico. Io vi saluterei, signora, se non facessi il contrario, perché ogni salute e ben ch'io spero, non può venirmi altronde, se non da lei. Ma faccivi Idio cosí lieta e contenta, come v'ha fatto la piú bella e graziosa dell'universo. SULPIZIA. Rendati Idio cosí infelice e disgraziato, come tu hai me reso infelice e disgraziata.
Vo' andare a battere alla porta e non trattenermi piú, ché non passi il tempo e tornasse il vignarolo senza far nulla. VIGNAROLO. Tic, toc, toc. GUGLIELMO. Gentiluomo, sète voi di casa? Bella cosa è l'essere ricco: ogniuno ti onora, ti saluta, ti tocca la mano, si ferma a ragionare con te, ti compagna sino a casa e ti dimanda come stai. GUGLIELMO. Gentiluomo, chi sei che batti a cotesta porta?
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