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Aggiornato: 31 maggio 2025
Questa giovine bella, e raro esempio nel secolo d'allora pestilente, piú satirette addosso di qualch'empio aveva e biasmi, se Turpin non mente. Diceasi ch'ella avea un cervel scempio, la macchina insensata interamente; che, non sentendo stimol di natura, nulla valea la sua santa bravura.
Or qui non so come a narrare io v'abbia della scrittura che a pezzi è rimasa. Turpin ha scritto: «Ella fu lacerata dal longobardo e addietro rimandata». Altri han cercato oscurar la faccenda, e forse per onor del buon Ruggero scrivono in altro modo una leggenda, che a lacerarla egli fosse il primiero.
Avea moglie e famiglia tanto grande, che Turpin scrive: «E' si vivea di ghiande». Perocch'era Angelin povero in canna e di poder n'aveva pochi al sole; oltre di che, sopra quelli una manna cadeva ogni anno di secche e gragnuole. Angelin sofferente non s'affanna, e dicea: Dio può tutto e cosí vuole. Dominus dedit, date ha le ricolte: Dominus abstulit, Dio ce l'ha tolte.
Scrive Turpin di quella tuttavia ch'ell'era attenta massaia e perfetta, ma che in secreto questa economia era di maliziosa formichetta, e che a se stessa facea cortesia, nascosta avendo piú d'una cassetta di be' zecchini, e di quelli il marito né avea ragione né sapeva il sito.
Un sedil vuoto ha innanzi, e il frasconcello del guascon con disprezzo lo pigliava; gli siede avanti, e talor si volgea e lo guardava in viso, e poi ridea. Parecchie asinitá, simili a questa, dice Turpin che gli andava facendo; ma l'ultima gli fu tanto molesta, che fu quasi per trarre un guaio orrendo.
Non ho veduto mai, né letto altrove, fuor ch'in Turpin, d'un sì fatto animale: questo rispetto a credere mi muove, che l'augel fosse un diavolo infernale che Malagigi in quella forma trasse, acciò che la battaglia disturbasse.
Donde sapea del secol la malizia, perché vivea nel secol veramente; ma al minacciar la divina giustizia, il secol si rideva apertamente; ché gli equivoci, i vini e la dovizia, ch'egli ogni dí cercava in fra la gente, facea che il detto: «Fa' quel ch'io ti dico, non quel ch'io fo» non s'apprezzasse un fico. Turpin sotto al suo ricco baldacchino era nel duomo, e avea presso Dodone.
Lo volle morto Dio di novant'anni sul letto ed affogato dal catarro; ed i sacri leviti in grand'affanni la santitá di lui misero in carro. Deh, lettor mio, non creder ch'io t'inganni; Turpin lo scrisse, io quel ch'ei scrive narro: che al seppellir di Gano un cieco nato guarí, perché il suo corpo avea toccato.
Volle introdotto il buon prete all'amica, e grida fede, e piange e mai rifina; fa con le scarpe che la benedica, e poi la lascia cheta e via cammina. Ciò che scrive Turpin, convien ch'io dica: l'inferma quella notte molto orina. Grida Ipalca per casa, che par matta: Oh scarpe del mio Dio! la crisi è fatta. Bradamante mostrava esser allegra di fuor, ma dentro non so come stesse.
Studiato avea quella bella lezione, che il mal occulto mal non era certo, e che sol era mal d'opinione quando venía nel pubblico scoperto; donde una sua scientifica intenzione va mulinando, d'uom di vero merto: Turpin la scrisse e d'aver pianto accenna; ed a me nelle man triema la penna.
Parola Del Giorno
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