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Aggiornato: 12 giugno 2025
A me molto non è perdere i passi, perduta avendo ogni altra cosa mia; ma tu per balze e ruinosi sassi cerchi entrar in pregione; e così sia. Non hai di che dolerti di me, poi ch'io tel predico, e tu pur gir vi vòi. 62 Così dice egli, e torna al suo destriero, e di quella animosa si fa guida, che si mette a periglio per Ruggiero, che la pigli quel mago o che la ancida.
60 Rispose il cavallier: Non ti rincresca se 'l nome mio scoprir non ti vogli'ora: ben tel dirò prima ch'un passo cresca l'ombra; che ci sar
PAOLA attempata CORONA giovene LIVIA fanciulla. PAOLA. Tu piagni, figliuola, e che ti senti tu? Mater prima, secunda soror, mihi tertia neptis. CORONA. Nol sai, madre, senza che me lo chiedi? PAOLA. Se 'l sapessi giá, non tel dimandarei. LIVIA. Dicerottilo io, dapoi che le molte e abbondevoli lagrime t'interrompeno la voce.
E credi, pazzo, ancor ch'io tel comporti, per una volta ch'io t'ebbi rispetto? Ma poi che né minacce né conforti ti pôn questa follia levar del petto, ti mostrerò quanto miglior partito t'era d'avermi subito ubbidito. Ma mostrerotti ch'io son buon per torre Frontino a lui, lo scudo a te d'Ettorre.
Sí che Cristo in terra tiene le chiavi del Sangue, sí come, se ben ti ricorda, Io tel manifestai in questa figura, volendoti mostrare quanta reverenzia e' secolari debbono avere a questi ministri, o buoni o gattivi che siano, e quanto mi spiaceva la inreverenzia.
E della virtú di quelli che vivevano come angeli, toccandoti, insieme con questo, de l'excellenzia del sacramento. Anco sopra i decti stati, volendo tu sapere degli stati delle lagrime e unde elle procedono, tel narrai, e acorda'teli con questi. E decto t'ho che tucte le lagrime escono della fontana del cuore, e ordinatamente t'ho assegnato perché.
RUFINO. Voi avete el torto, ché le cose belle piacciono a ognuno. CURZIO. Tel concedo, questo. Ma non cognosce lui che quella non è farina da' suoi denti? RUFINO. Anzi, lui si pensa che, per aver quattro letteruzze affumate, che tutte le donne di questa cittá siano obligate a volergli bene. CURZIO. Non ne parliam piú.
FULVIA. Non mi curo dello stare, pur ch'io veda che maschio sia. RUFFO. E come può non bere chi assetato si trova al fonte? FULVIA. Verrá, dunque, oggi? RUFFO. Lo spirto tel fará venire subito, se vuole. Statti, dunque, avvertente in su l'uscio. FULVIA. Non bisogna questo, perché, venendo da donna, in presenzia d'ognuno può mostrarsi; perché non è chi per maschio il conosca. RUFFO. Basta.
Alora la coscienzia tua tel rapresenta che tu l'hai speso e dato a le publiche meritrici, e notricati e' figliuoli e aricchiti e' parenti tuoi, e haitelo cacciato giú per la gola con adornamento di casa e con molti vasi de l'argento, colá dove tue dovevi vivere con povertá volontaria.
Va', ch'io non tel credo. RUFINO. Non è articolo di fede; ma ve ricordo ch'a tal otta lo potrestivo credere, che vi rincresceria. CURZIO. Come che me rincresceria? Parlame chiaro. RUFINO. La chiarezza è questa: che ci è chi la vole per moglie. CURZIO. E chi è questo prosuntuoso? RUFINO. È un pedante poltrone. CURZIO. Io so chi vòi dire, adesso. I' non ne ho paura di costui.
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