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Il popol forte, Da l'armi oppresso e da la fame infranto, Schiude al superbo vincitor le porte, Che a quest'orrido aspira ultimo vanto. Egli entra, ei passa: è suo trofeo la morte, Suo cibo il sangue, sua letizia il pianto; Piega il ginocchio, e, crudelmente pio, Chiama a le stragi sue complice Iddio.

Quando furono di ritorno dalla Francia invasa dagli stranieri di varie regioni, il colonnello volle che il capitano si riposasse alcuni giorni nella sua casa, dove si godeva una pace serena, in quel paradiso della Brianza. Quel silenzio, quella solitudine sotto gli alberi, producevano l’effetto d’un delizioso calmante negli animi ardenti di quei soldati avezzi a tanti frastuoni e a tante stragi. A poco a poco il loro spirito esaltato dalle lotte si raddolciva, il loro sangue rallentava il suo corso, il loro cuore si apriva a nuove aspirazioni verso la tranquilla felicit

Marte, cui deve il primo onor la spada, Rese nel campo mille eroi guerrieri. Ma fra l’orride stragi agli alti imperi Schiude di gloria sanguinosa strada. Nuovo Marte tu sei, e fai che cada, L’audace Moro ai colpi tuoi non veri Formi col brando i nostri, i tuoi piaceri; Porti illustre vittoria u’ più ti aggrada.

Che dissi? Il dubbio indegno Sperdano i venti, e il mar vorace inghiotta! Qui sei, qui regni: io sento, Unica dea, la tua presenza in questa Splendida reggia degli umani affanni. La terra è tua; su' simulacri infranti Di sbugiardati iddii sorge la possa Dei regni tuoi: da fiere alme son còlte Le tue leggi inconcusse, e fermi e santi Di perenni olocausti ardon gli altari, Che cementan co'l sangue i figli tuoi! O generosi, o cari Apostoli, o gagliarde ostie ed eroi, Voi non cadeste indarno! Ecco, su queste Ingombrate di stragi inclite rive La nova alba diffondesi D'una sorgente et

Certo questa meditazione si addentrò più oltre nelle viscere, se non che fu di tanto travaglio, che le labbra non la poterono altramente articolare. All'improvviso percuotendosi la fronte aggiungeva: «Ed io non avrò Yole? se sopravvive....» Non aveva ancora finito, che la tempesta scoppiò sul castello: egli giunse le mani, e le alzava supplichevole al cielo; poi, quasi stimasse quell'atto mal conveniente, sorgeva per prostrarsi; le sue ginocchia percossero sopra il petto di uno scheletro, e le costole gli si spezzarono sotto con tale scricchiolio, che parve lamento; per questo mutò luogo, anzi togliendo occasione dal caso si pose a scongiurare: «O forza che distruggi, intendi una volta il mio voto, voto di creatura vicina ad esser distrutta, proferito su l'altare della distruzione: l'esperimento dei secoli ti ammaestra, che la terra invecchia di anni, e d'infamia; che più schifoso di figlio in figlio si trasmette il retaggio della colpa; che ormai non v'ha luogo innocente ove il giusto potesse far la preghiera, non pietra che non abbia sostenuto la testa di un trafitto, non zolla che non sia sparsa di sangue invendicato; illumina la luce le stragi manifeste, nascondono le tenebre la perfidia occulta: tutti a nostra posta siamo destinati ad esser traditi, e traditori.... Se la donna, che con la prima colpa chiamò sopra il suo capo e sul nostro la morte, fosse risuscitata alla vita, e dalla sponda del sepolcro vedesse i fatti dei feroci che uscirono dal suo fianco, si coprirebbe spaventata con la lapide invocando di morire un'altra volta. Gi

Famoso è quello della Cloaca Massima che da Roma conduceva al mare e finalmente di molta considerazione erano quelli che particolari ricchissimi facevano scavare con grandi spese per sottrarsi alle depredazioni di quei grandissimi ladri che si chiamavano Imperatori, ed in tempi meno antichi alle persecuzioni ed alle stragi dei barbari,

I Mille, per la maggior parte non marini, avean lasciato le nausee di mare, per ingolfarsi nelle stragi delle battaglie, e per sentieri quasi impraticabili eran pervenuti in Palermo, ove cacciando davanti a loro un esercito di ventimila uomini delle migliori truppe borboniche, liberavano la Sicilia intiera in solo venti giorni.

Anche Galeazzo Trezzi, gentiluomo lodigiano convertito dal Mainardi e dal Curione, fu nel 1551 condannato dall'Inquisizione al fuoco. Il duca d'Alba, la cui memoria risveglia quella dei supplizii e delle stragi dei Paesi Bassi, venuto governatore del Milanese raddoppiò i rigori e nel 1558 furono bruciati un religioso e un altro, e così negli anni seguenti.

Ma Amor, che doma i leoni, le tigre e i ferocissimi animali, mi mitiga l'orgoglio e rammorbidisce il mio rabbioso sdegno. Onde per lei ho dismesso mandar popoli a fil di spada, cittá a sangue e fuoco e far balzar castelli per aria con le mine e altre opre da stragi; e vo' piú tosto con amorevoli persuasioni conseguire il mio intento che venir alla forza.

Se pure, in questo tempo di stragi e di maledizioni, tu senta i tuoi piedi affondare nel sangue, e non raccolga negli occhi e nel cuore che immagini di violenza. Se pure tu abbia perduto per via coloro che ti amavano e che tu amavi, e rimanga solo dinanzi a te stesso, come dinanzi ad una domanda senza risposta.