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Il viso di una bianchezza cerea spiccava ancora più sotto la lunghissima barba di un nero d'ebano; i suoi occhi bigi avevano uno sguardo duro, imperioso; il sorriso ironico delle sfingi increspava le sue labbra sottili. Quell'uomo era il conte Ercole Patta, da pochi anni dimorante a Milano, sebbene dicesse di esservi nato e parlasse difatti il più puro dialetto lombardo.

Si è lasciata morire, impenetrabile al pari di quelle Sfingi che spalancano gli occhi privi di sguardo in faccia ai viaggiatori tra le arene che circondano le Piramidi egiziane, e non interrogano rispondono da mille e mille anni. Così lei.

Vi era un salotto, col soppalco a legno intagliato e le mura coperte di cordovano a rosoni d'oro. Vi era un tavolo di frassino incrostato di avorio e di laminuzze di argento niellato, e grossi sgabelli di noce intagliati a sfingi, girigori e lacci aggroppati. Vi erano infine guastade di fiori ed una giga.

Noi di fuligine Suffusi e forti, Urtiam le macchine, Che acute strillano Destando i morti Dentro la polvere. Coro Sorgono i morti. Ai colpi cedono Della tempesta I monti. Ai ruderi Cedono i ruderi: Il libro resta Tempio granitico. Coro Il libro resta. Cedono al vecchio, Che gli anni fila, Sfingi e Piramidi, Ed è l'Iliade De' suoi tremila Anni ancor giovane. Coro Cantiam l'Iliade

Pur, come un le streghe di Macbeth sul sentiero, A soffermar per poco del Mondo il passo altero, Sorgon tre sfingi; e sono sfingi rabbiose e grame; I moralisti ipocriti, gli eserciti e la fame!

Frattanto la notte si avanzava e il sopravvenire delle tenebre ridestava alla vita le piccole sfingi, i baccherozzi, le zanzare, le lucciolette, le farfalluccie vespertine, infine tutti gli insetti nemici della luce. Strani, misteriosi sussurri uscivano dagli arbusti e dall'erbe. Due zanzare, partite dai canneti del lago, volavano verso il giardino.

E tu invan, fiera Dea, tu invan d'oscure Sfingi hai custodia intorno; invan di tuono Armi il tuo grido, e veste hai di paure. Questo verme immortale ebbe tal dono, Per cui scrolla are, ombre dirada, e altero Su le rovine tue piánta il suo trono. Tu di fulmini t'armi, e in tuo mistero Minacciosa sorridi; egli al tuo sguardo Il fulmin strappa, ed arma il suo pensiero.

Al destino, alla brama d'Infinito; Pianse il passato ed indagò il futuro, Interrogò le sfingi, e tese il dito Verso l'oscuro. L'occhio profondo all'orizzonte volto Assaliva i confini del pensiero... E il suo sogno vagava ognor più sciolto Oltre il mistero. Or lo ha seguito. Ei che raggiunta avea Perfezione impeccabil di parola, Sentiva in come sepolta dea L'alma che vola.

S'internarono tutti e tre sotto la foresta seguendo un sentiero ombreggiato da magnifici tamarindi e giunsero, dopo una mezz'ora, dinanzi a una gran spianata cosparsa di colonne infrante, d'arcate cadenti ornate di mille ghirigori in mezzo ai quali spiccava l'ibis religiosa degli antichi nubiani e seminata da grandi sfingi, di statue colossali semi-coperte dalle piante arrampicanti e da ammassi di rottami.

Bella scusa! E offerse al suo giovine vicino una presa di tabacco. Grazie no, dottore. Ma ditemi, chi sono quelle sfingi, che l