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Quand'ei di novo il caro latte elice, E scherzoso riprende i suoi garriti! Tai porge allor la madre inni d'amore, Quai mandar può de' Serafini il core! Ov'alti rischi fervono, Vieppiù la madre ardita Pel frutto di sue viscere Pronta è a donar la vita. Ella, se fera scoppïa Divoratrice vampa, Verso la cuna avventasi, E il pargoletto scampa.

Venne alle 9 di sera il Serafini. Entusiasta di Garibaldi e di amor patrio, non avrebbe ceduto il suo incarico pericoloso per cosa al mondo. Subito arrivato a San Dalmazio aveva colle più animate parole posto Angiolo Guelfi al corrente della grave missione che la fortuna offriva loro. Aveva Angiolo Guelfi sortito da natura, insieme a fervido amore di libert

Ma non ci sarebbe stato bisogno di tante precauzioni: Ciulla era il più gran birbone ch'esistesse sotto la cappa del cielo. Egli approvò, e accettò. Non conosceva quel Serafini, ma quando ne rispondeva don Castrenze non ci trovava a ridire.

Brevi furono gli accordi, e Serafini propose come temporario asilo la sua casa di San Dalmazio intanto che si fosse potuto provvedere allo scampo per la via di Maremma, e accennava alla presenza del Guelfi tutto disposto a prestare l'opera sua. In poche parole fu concertato che sull'imbrunire sarebbe tornato il Serafini per trasportare i due profughi a San Dalmazio.

E l’anima tutta dolorosa rispondeva: «Su questo corpo intemerato e puro io ho posto tutto il mio amore, e non ho il coraggio d’abbandonarlo». «Fanciulla mia! esci. Io ti accoglierò negli altissimi cieli, sotto al mio trono immortale, coi Serafini e Cherubini». E l’anima esitava. Il Signore allora impresse un bacio sulla fronte a Mosè e con quel bacio l’anima volò in cielo.

vid’ io in essa luce altre lucerne muoversi in giro più e men correnti, al modo, credo, di lor viste interne. Di fredda nube non disceser venti, o visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti a chi avesse quei lumi divini veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini;

Eppure, tante e tanto grandi furono le cautele prese dal bravo Serafini, che nessuno in San Dalmazio sospettò della presenza di due esuli in casa sua, in quei tempi nei quali l'occhio vigile della polizia, reso più acuto ancora dal vigliacco sussidio del partito reazionario, scrutava per tutto, e dappertutto vedeva nemici.

Spesso ancora si mostrava preoccupato il Serafini dell'esito incerto circa alle pratiche iniziate da Angiolo Guelfi per l'evasione dalla parte del mare, tantochè il Generale, colla sua solita serenit

Tutto ciò veniva approvato dal Serafini; e fu stabilita la partenza del Guelfi per le prime ore del mattino successivo, onde evitare sospetti di una gita notturna. Fu preveduto anche il caso che il Guelfi dovesse trattenersi in Maremma, e che vi fosse bisogno di corrispondenza fra esso e San Dalmazio.

A tale effetto fu stabilito che se avesse dovuto dare notizie di , le avrebbe fatte pervenire per mezzo del Martini dirigendo lettere al Morbo con nome convenzionale, e se si fosse dovuto di qualche cosa avvertirlo, si sarebbe usato l'indirizzo fittizio «Antonio Piesce» che Angiolo Guelfi scrisse di suo pugno sopra di un quarto di foglio, e che il Serafini poi conservò e conserva tuttora insieme agli altri documenti di quella data memoranda.