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Nel tempo che avvenivano tutte queste cose, Cammillo Serafini e Angiolo Guelfi stavano a San Dalmazio trepidanti sul buon esito dell'impresa. Appena fu giorno spedirono un espresso al Morbo per sapere qualche cosa dal Martini, che doveva essere di ritorno, e con loro consolazione riceverono la seguente lettera scritta da Girolamo Martini, ma senza data, e senza indirizzo: C. Signore,

Strettisi a consiglio i due profughi insieme a Serafini e Guelfi, tutti convennero che scopo precipuo della ricerca dovesse essere una barca atta a trasportare gli esuli sulla riviera ligure, e che di ciò avrebbe dovuto occuparsi il Guelfi partendo senza dilazione per la Maremma.

Così fra gli accordi e la mensa ospitale fatta imbandire dal Serafini si era arrivati a notte avanzata, e il Guelfi volle passare le poche ore che lo separavano dalla partenza nel conversare col Grande che così inopinatamente gli era stato avvicinato dalla fortuna. Furono queste alcune ore di amichevole colloquio che Angiolo Guelfi non dimenticò finchè visse. L'animo suo fiero, leale, entusiasta di libert

Poi li abbracciò, li baciò, li incaricò dei suoi saluti a Girolamo Martini, Cammillo Serafini e Angiolo Guelfi, e montò nella barca. Lo stesso fece il capitano Leggero salutando ed abbracciando gli amici, e la barca si mosse.

Espose esso le sue intenzioni circa alle persone a cui rivolgersi, ed ebbe in tutto l'approvazione del Serafini conoscitore esatto esso pure degli uomini e dello stato della Maremma.

A chi gli domandava: Cardello dove vai? egli rispondeva con lo strillo pulcinellesco, quasi come segno del mestiere che intendeva di scegliere. Poi avea parlato della cerva che sembrava viva, con le corna ramificate alte così; l'avrebbe manovrata lui. E avea parlato delle nuvole, degli angeli e dei serafini che portavano su, in cielo, l'anima di Santa Genoeffa.

Aveva detto al Serafini: «Sul mare, una trave basta per noi due,» e queste parole che in bocca di Garibaldi non erano vana iattanza, mostravano quanta fiducia dovesse sentirsi alla vista dell'elemento suo prediletto.

Passò così il 29, e la mattina del 30 il Serafini, insofferente della mancanza di notizie del Guelfi, che a lui pareva prolungata, ed era naturalissima, mandò un espresso al Bagno per sapere qualche nuova dal Martini. Ma il Martini ne sapeva quanto lui, e gli rispondeva sempre calmo, sempre prudente con la seguente lettera senza data, senza firma, senza indirizzo: «Pregiatissimo,

Consigliò spedire un espresso al Serafini, e si profferse di parlarne egli medesimo ad Angiolo Guelfi, che sapeva doversi trovare quel giorno stesso alla fiera del Ponte di Ferro. Quanto ad aiuti non misurò la promessa, che anzi dichiarò essere la sua pecunia a disposizione dell'impresa, ed essere pronto a spendere qualunque somma purchè riuscisse a bene.

Dunque, voi siete quello che proponeste a compare Giorgi l'affare di S. Giovanni? Così il capitano cominciò il suo interrogatorio, fissando don Castrenze come se volesse leggergli nell'anima. A servirla. Assicuraste che l'affare è buono. A servirla. Gli parlaste d'un certo Pietro Serafini di Mezzoiuso, campiere a spasso. A servirla.