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Aggiornato: 9 giugno 2025
Or altra, ben altra accusa or ti s'aspetta; e il reo, non fra' martir, ma libero, e non chiesto, viene a mercé. OTTAV. Qual reo? Parla. TIGEL. Aniceto. SENECA D'Agrippina il carnefice! OTTAV. Che sento? TIGEL. Quei, che Neron d'alto periglio trasse: fido era allora al suo signor; tu, donna, traditor poscia il festi.
E così vociando il cardinale scorreva come un pazzo tra i gruppi dei soldati, che non gli davano retta. Qual fonte di epigrammi per Marziale e di riflessioni per Seneca, che nell'antica Nomentum ebbero dimora, se in quel punto avessero potuto rizzare il capo attonito dagli avelli! La era una scena da piangere e rintontito io stava presso una porta a contemplarla.
SENECA Erami noto Nerone assai; ma pur, nol niego, or sono d'atro stupor compreso. Ognor piú fero ch'altri nol pensa, egli è. OTTAV. Seneca, ad alta impresa, io te nel mio pensiero ho scelto. S'hai per me stima, amor, pietade in petto, oggi men puoi dar prova. A me giá fosti mastro di onesta, e d'incorrotta vita; di necessaria morte esser mi dei or tu ministro.
POPPEA Non la beltá per certo; ognor la mia prevalse agli occhi di Nerone: io temo il finto amor, la finta sua dolcezza; l'arti temo di Seneca, e sue grida; e della plebe gl'impeti; e i rimorsi dello stesso Nerone. TIGEL. Ei da gran tempo t'ama, e tu nol conosci? Il suo rimorso è il nuocer poco. Or, credi, a piú compiuta vendetta ei tragge Ottavia in Roma.
Me giá scolpasti dei passati falli; prosiegui; lauda, e l'opre mie colora; ch'è di alcun peso il parer tuo. Te crede men rio che altr'uom la plebe; in te gran possa tuttor suppon sovra il mio cor: tu in somma, tal di mia reggia addobbo sei, che biasmo di me non fai, che piú di te nol facci. SENECA Ti giova, il so, ch'altri pur reo si mostri: divisa colpa, a te men pesa.
TIGEL. L'infamia è di chi 'l fece. NER. È ver... TIGEL. Sua taccia abbia ognun dunque: ella di rea; di giusto tu, che senza tuo danno esserlo puoi. NER. Ben parli. In ciò, senza indugiar, ti adopra. SENECA Signor, giá il piè nella regal tua soglia pone Ottavia: se infausta, o lieta nuova io ti rechi, non so. Me non precorre invido niun di tale onore: a tristo augurio il tengo.
SENECA Odo le grida di mossa plebe. OTTAV. Oimè! che fia? SENECA Che temi? Soli noi siam, che in questa orribil reggia paventar non dobbiamo... OTTAV. Ognor piú cresce il tumulto. Ahi me misera! in periglio forse è Neron... Ma chi vegg'io? SENECA Nerone; eccolo, e viene. OTTAV. Oh, di qual rabbia egli arde nei sanguinosi occhi feroci! Io tremo...
SENECA Or, piú che pria, scabro a Neron fassi il versarlo. Hai tratto lustro ed onor donde sperò l'iniquo che infamia trar tu ne dovresti, e morte. Eucero stesso, benedire ei s'ode il suo morire.
Or basti a me, che accorto fatto m'ha Roma in tempo. Error non lieve fu l'espeller colei, che mai non debbe, mai stanza aver lungi da me... SENECA Ten duole dunque? ed è ver quanto ascoltai? ritorna Ottavia? NER. Sí. SENECA Pietá di lei ti prese? NER. Pietade?... Sí: pietá men prese. SENECA Al trono compagna e al regal talamo tornarla, forse?... NER. Tra breve ella in mia reggia riede.
Erami duro vedermi innanzi ognor colei, che s'ebbe, non lo mertando, il mio Neron primiera: ma, del suo esiglio paga, a' suoi delitti stimai che pena ella ben ampia avesse, nel perder te: pena, qual io... NER. Deh! lascia parlar Seneca, e il volgo. A Roma or ora chiaro farò, qual sia quest'idol suo.
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