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Aggiornato: 31 maggio 2025


La satira inferociva coi grandi. Tutte le ire, le contumelie, le calunnie che oggidì si disfogano nella lotta politica, si addensavano allora sulle teste dei poeti e degli artisti, e su quelle andavano a rovesciarsi furiose e mortifere. È la storia del passato, sar

Ella ne parlava con una satira rattenuta, pur consentendo alla inevitabile ingratitudine umana di essere stata trattata così. Oramai, si volse a De Nittis, siamo tutti avanzi del medesimo naufragio. Tu sola, Maria, che non volesti mai saperne del mondo, puoi non comprendere la nostra posizione. Che cosa dovrebbe darvi il mondo, che non ha nulla per le anime?

Questo l'ordito. L'intenzione e veramente più satirica che comica, la satira ancora più caricatura che satira.

Delle altre opere minori del Macchiavelli scritte in quegli stessi anni non è il caso di parlare molto. Nell'Asino d'Oro, inspirato da Apuleio, l'intenzione di satireggiare Firenze s'impaluda nelle solite considerazioni politiche senza trovare un accento di vera satira: la forma è inelegante, il verso slombato. Nei Capitoli il migliore è quello dell'Occasione, il peggiore quello dell'Ambizione, tutti egualmente inquinati di ragionamenti teoretici; invece i suoi Canti Carnascialeschi richiamano involontariamente alla memoria quelli di Lorenzo il Magnifico, per far poi nel confronto ben magra figura. La novella di Belfegor arcidiavolo, nella quale la solita critica volle vedere una satira di Macchiavelli ai tormenti ricevuti dalla moglie, buonissima donna che egli amò sempre, è invece presa dal libro turco dei Quaranta Visiri derivato da fonte araba e questa da indiana, del quale il Macchiavelli ebbe forse conoscenza, almeno oralmente, per mezzo dei mercanti fiorentini allora in gran commercio con Costantinopoli. Macchiavelli stesso aveva col

Talvolta si accompagna allo scherno la satira arguta e mordace contro la corruzione del clero. Nella Scolastica dell'Ariosto (atto III, sc. 6), Bartolo, ad espiare certo suo peccato giovanile, vorrebbe farsi romeo. E un frate gli dice:

Se la commedia tripudia nella gioia del proprio istante, presto si cangia in farsa; se pensa nel proprio tripudio e sale fino alla satira, tramonta tosto nella tragedia. Essa non è dunque che un sorriso su due labbra fatte per parlare o in due occhi aperti per vedere.

Giovenale in una sua satira, ci presenta una madre di famiglia che aspetta la notte per recarsi ai bagni con tutto il fardello di pomate e di profumi: «Tutto il suo godimento consiste a sudare con grande emozione quando le sue braccia cadono rotte sotto la vigorosa mano che la massa, quando il bagnino animato da questo esercizio fa trasalire sotto le sue dita l’organo del piacere, e scricchiolar le reni della matrona».

Se è lecito trar paragoni tra uomini e tempi, tanto diversi, Dante fu tra molti de' fiorentini suoi contemporanei in disgusto, come furono, nel decorso secolo, fra gl'inglesi Giorgio Byron, e fra i tedeschi Enrico Heine: e ciò per lo stesso motivo, per la sanguinosa satira de' loro compatriotti, per aver flagellato ove credeano fosse buono e degno l'assestar colpi.

Il Daudet rimase al broncio. Immaginando, forse, che l'Accademia non avrebbe voluto saperne di lui, scrisse l'Immortel. La satira passò il segno; la freccia rimase spuntata.

Molti fattarelli cavati dal mio Turpino, che la riempiono, servono di pretesti a porre in circostanza le dame, i cavalieri, l'arme e gli amori; e dalla circostanza pullula quella satira sul costume, alla quale chiedo la benedizione dal cielo. Alle due consuete sciagure degli altri libri anderá sottoposta la Marfisa. Se una è quella di non essere letta badata, l'altra è quella della critica.

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