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La nutrice loro e Fannio servo, per salvare Santilla, da maschio la vesteno e Lidio la chiamano, stimando il fratello da' turchi essere stato morto. Di Modon parteno. Tra via, son presi e prigioni in Costantinopoli condotti.

Bene è vero che l'uomo mai un disegno non fa che la Fortuna un altro non ne faccia. Ecco, allor che noi pensavamo a Bologna quietarci, intese Lidio mio padrone Santilla sua sorella esser viva ed in Italia pervenuta.

Demetrio, cittadin di Modon, ebbe uno figliolo maschio chiamato Lidio e una femmina chiamata Santilla, amendua d'un parto nati, tanto di forma e di presenzia simili che, dove il vestire la differenzia non facea, non era chi l'uno dall'altro cognoscere potessi.

LIDIO. Belli son certo; e piú che non sapete voi. FESSENIO. Di ciò a bell'agio parleremo. Attendasi oggi a quel che piú importa. Dissi drento a Fulvia questa esser Santilla tua sorella: di che ella si mostrò oltra modo contenta; e conchiusemi al tutto volere che sia moglie a Flaminio suo figliuolo.

FESSENIO. Voglio andare un poco da Fulvia, ché comparita su l'uscio la vedo, e mostrarle che Lidio vuol partirsi per vedere come se ne risente. FULVIA. Ben venga, Fessenio caro. Dimmi: che è di Lidio mio? FESSENIO. Non mi pare quel desso. FULVIA. Eimè! Di' : che ha? FESSENIO. Sta pure in fantasia di partirsi per cercare Santilla sua sorella. FULVIA. Eh lassa a me! Vuol partirsi?

Calandro, Fulvia minacciando, è intrato in casa. Egli è matto furioso e forse le fará villania. Ma, se romor in casa sento, al corpo di me, ch'i' salterò drento e difenderò lei o per lei morirò. Amante non sia chi coraggioso non è. FANNIO servo, LIDIO maschio. FANNIO. Vedi Lidio o, vogliam dir, Santilla. Non ha fatto niente. Riscambiamo. Togli li tuoi; rendemi li panni miei. LIDIO maschio.

Non dubitare: meco ne vieni. Tu, Fannio, aspetta. A te, Santilla, mostrerò quanto a far hai. FANNIO. In che travaglio ha posto la fortuna il caso di questi due, fratello e sorella! Sará oggi il maggior affanno o la maggior letizia che avessin mai, secondo che la cosa se butterá. Ben fece il cielo l'uno e l'altra simili, non pur di apparenzia, ma ancor di fortuna.

Dammi la mano. CALANDRO. La mano e i piedi. FESSENIO. Parti che i pronti detti gli sdrucciolino di bocca? CALANDRO. Che c'è? FESSENIO. Che, ah? El mondo è tuo; felice sei. CALANDRO. Che mi porti? FESSENIO. Santilla tua ti porto, che piú te ama che tu non ami lei e di esser teco piú brama che tu non brami; perché gli ho detto quanto tu se' liberale, bello e savio. Uh! uh! uh!

Or tanto maggior letizia mi porta la salute tua quanto io manco la aspettavo. LIDIO. E tu, sorella, tanto piú cara mi sei quanto io, per te, oggi salvato mi trovo: ove che, se tu non eri, forse ucciso stato sarei. SANTILLA. Ora aranno fine li suspiri e li pianti miei. Questo è Fannio, servo nostro, che sempre fidelmente servito mi ha. LIDIO. Oh! oh! oh! Fannio mio, ben di te mi ricordo.

CALANDRO. Fessenio! FESSENIO. Chi mi chiama? Oh padrone! CALANDRO. Or be', dimmi: che è di Santilla mia? FESSENIO. Di' tu quel che è di Santilla? CALANDRO. . FESSENIO. Non lo so bene. Pur io credo che di Santilla sia quella veste, la camicia che l'ha indosso, el grembiule, i guanti e le pianelle ancora. CALANDRO. Che pianelle? che guanti? Imbriaco!