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Era una solenne dichiarazione di bancarotta della nazione; e, per giunta, ognuno sapeva che il dispotismo, intimidito e scoraggiato, non si trovava più in condizione di adoperare i mezzi violenti di un tempo. Dopo questo grande saggio di fermezza del carattere nazionale, era facile prevedere, che si sarebbe dimostrato una lustra anche il progresso dell'intelligenza politica, che gli ultimi anni avrebbero dovuto arrecare. La nuova camera risultò composta di 40 radicali, 60 appartenenti al recente tiers-parti e 200 mammalucchi ed arcadi, fida falange di Rouher. Ma la così detta opinione pubblica si rivelò ancora una volta come una forza irresistibile. Una parte dei bonapartisti, spaventati dal fracasso della stampa e dei clubs volse di botto a sinistra, e così, con un atto di completa insensatezza, nacque la mozione dei 116, che domandava nuovi diritti costituzionali. Rouher fu dimesso; ma, proprio quando si solennizzava il centenario dell'avo, l'imperatore giaceva infermo gravemente, e il mondo sentiva che la dinastia sarebbe condannata non appena quei due occhi si fossero chiusi. Dopo la guarigione il despota angustiato pubblicò il senatoconsulto del 6 settembre, che annunzio il principio della responsabilit

E Rouher faceva eco e chiosa al padrone collo storico e deriso jamais di Roma all'Italia e colla frase: «La convenzione del 15 settembre è la ricognizione assoluta, implicita, necessaria, reciproca del potere temporale e del regno d'Italia

Il ministro Rouher sollevò l'indignazione dei partiti liberali, quando espresse, tuttora sotto la repubblica, la prima e la più famigerata delle sue alate parole, qualificando la rivoluzione di febbraio come una catastrofe. Se non c'inganniamo interamente, verr

Napoleone continuava a non avvertire nulla delle forze morali del movimento unitario germanico, nulla dei doveri che questo imponeva alla corona di Prussia. Secondo la sua vecchia esausta maniera, scelse di nuovo la via diplomatica, e subito dopo l'affare del Lussemburgo fece presentare a Berlino il suo antico disegno belga. Nessun diplomatico ha negoziato mai più frivolamente e, insieme, più acciarpatamente di quel pietoso Benedetti, che per poco non fece raggirare la Prussia, e che dal giorno di Olmütz non aveva mai sentito niente. Lo statista tedesco baloccò la bramosia francese, ascoltò pacatamente tutti gl'insensati apprezzamenti sulla Svizzera francese, sul Piemonte, pullulanti in vicenda turbinosa, e ritenne in propria mano la prova inestimabile della cupidigia gallica. Da allora ogni mese ci arrecò un attestato del sentimento di amichevole vicinanza. La cabala della diplomazia francese si sgrufolava senza tregua nelle nostre piccole corti. Seguì il convegno di Salisburgo, di cui i tedeschi fiutarono per l'odore ostile. I due imperatori, secondo che risulta da una lettera di Rouher rinvenuta alle Tuileries, s'incontrarono nella risoluzione di non tollerare l'unit

Invano allo jamais di Rouher rispose la fratricida frase di Failly: «les chassepôts ont fait merveilles». Invano l'augusta parola dell'eletto dai plebisciti fu provocata dalla reazione per demolire l'impresa. Invano l'ultra-montanismo francese mandò i battaglioni di Magenta e di Solferino a rinforzare i reggimenti pontificii. Invano stettero mille contro dieci.

E questa nazione tiene oggi nel mondo morale il posto della Spagna e dei principi italiani di quell'epoca! C'è da ghignare al muso del progresso. A quel tempo, malgrado ciò, non si parlava ancora della Francia. Berryer non aveva ancora strappato dalle canne di Rouher il famoso jamais! che fece palpitar di gioia il cuore cosmopolita della mogliera del vincitore nobilissimo di Solferino.