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Aggiornato: 12 giugno 2025
CURZIO. Nel letto suo proprio? MALFATTO. Misser no. In camera; in un altro letto; in terra. TRAPPOLINO. Entrate. CURZIO. Vieni dentro, Malfatto. FULVIA donna, IULIA donna, RITA serva. FULVIA. Non venite piú innanzi. Di grazia, tornatevi dentro. IULIA. Orsú! Andate in pace. Voi me avete intesa. FULVIA. Madonna sí. IULIA. Me avete ben fatto despiacere a non vi restare a desinare con esso meco.
Compita la presentazione, scambiati gli inchini e le strette di mano, i padroni di casa lasciarono il passo agli ospiti. Rita!... chiamò la straniera, volgendosi alla bambina. Ti chiami Rita, lo so!... Dammi la tua manina. La fanciulletta parve tutta orgogliosa di tornare a casa stringendo la destra della sposa, che reggeva con l'altra mano i fiori offerti da lei.
«Il Valcarenghi occupa, nella novellistica moderna, un posto che molti gli invidiano, e questo volume rappresenta un intermezzo piacente e pregiato nella sua forte ed ampia produzione di raccontatore geniale.» PERCHÈ RITA?... ed altre novelle. Un volume in-16 L. 1. =I Retori.= FUMO E CENERE. Un volume in-16 L. 3 50. Un volume in-16 L. 2.
MALFATTO. Diteme un poco: avete moglie voi? Perché non me respondete? Ve voglio bene io, sí, alla fede: demandatene un poco allo mastro. E vorrei dormire con teco, sempre, sempre. Te sono innamorato, sí, per Dio. RITA. Diavolo che venga mai piú! MALFATTO. Vòi che venga abasso e che te basi un poco? RITA. Eh, sciagurato, tristo! MALFATTO. O che sei vecchia e brutta? Fio. Cancaro te venga! Fio.
Lassala pur stare. RITA. Volete ch'io ripichi? FULVIA. No, no; ché non dicessino pur cosí che noi avemo del fastidioso. CECA. Oh! Madonna, perdonateme se io sono stata troppo a ritornare, ché sono corsa drieto alla carne che si portava la gatta... volsi dire, la gatta si portava la carne. FULVIA. Ben, che dice la tua patrona? CECA. Che, madonna sí, che venghiate di sopra.
RITA. Adesso sí che ti vego. Che dici tu? MALFATTO. Dico: perché bussi all'uscio mio? RITA. Io credo che tu ti sogni, pecorone! MALFATTO. Alla fé, che me credevo che fosse lui. Orsú! Basta. RITA. Dimmi un poco, olá! Me sai dire se e' cci sono costoro? MALFATTO. Non ce sta nessuno che se chiami Costoro in quella casa. RITA. Dico se c'è la patrona. MALFATTO. Se non si è partita, io credo de sí, io.
MINIO. Caminamo, ché non ci veda fermati: ché non dicessi che facemo le tristizie. FULVIA donna, RITA serva, CECA serva. RITA. Grande errore fue, per certo, a farvi sposare, se ei non se ne contentava; e voi, perdonatemi, poco savia fosti a prenderlo. FULVIA. E che ci potevo fare io? Homelo forsi tolto da me? Certo che non; e tu lo sai. RITA. Orsú!
RUFINO. Qua giú, che usciva de un certo monestero, e parvemi ch'ella avessi la Rita con esso lei. CURZIO. In che luogo sta quel monestero? come se chiama? RUFINO. Questo sí ch'io non so. CURZIO. Sai perché ch'io tel dico? Per ciò ch'io ancora mi sono giá parecchie volte imbattuto in una che tutta alla Rita se assomiglia; e, ogni volta che l'ho incontrata, me ssi è fugita dinanzi.
MALFATTO. E quando me nne renderete la sopposta? Missere, che volete? Ecco, vengo. Addio, addio. Olá! M'ha chiamato lo patrone. RITA. Va', che te rompi el collo! Guarda scemonito, che risponde sentendo pichiar la porta del vicino! Io vo' pur ripichiar tanto che qualcuno mi risponda. Tic, tic. CECA. Chi è la? RITA. Amici. Rengraziato sia Dio che voi me avite sentita! CECA. Perdonateci.
Eccomi qui ad interromperla!... Come cresce questa gioventù!... esclamò poi, rivolgendosi ai due adolescenti, posando la mano sulle loro spalle, e fermandosi estatico dinanzi alla piccola Rita.
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