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Aggiornato: 28 giugno 2025
Si vedeva ammanettato fra due guardie di questura, con la tuba pesta, con le scarpe rotte, e con i monelli che gli correvano dietro urlando e fischiando... L'immagine era così viva, così spaventosa, che più a lungo non la potè sopportare. Si alzò di botto, riaccese il lume e caricò un revolver che teneva in una busta, appeso a capo del letto, deliberato di uccidersi e finirla.
Afferrò il revolver e lo avvicinò alle tempie. Il freddo dell'acciaio brunito gli recò un leggero sollievo, ed egli appoggiò per qualche secondo la fronte sulla canna a cui stava per chiedere un riposo più lungo.
Cominciarono i brindisi; i ricordi più cari s'intrecciavano coi più generosi propositi: ora uno parlava degli occhi celesti della graziosa biondina che aveva lasciato a Firenze, ora un altro giurava di non aver comprato un revolver perché era sicuro di prenderlo al primo ufficiale prussiano, che gli si fosse presentato davanti e che avrebbe ucciso dicerto. Evviva, Evviva. Che c'è?
Sono corso apposta da te; le disse Giacomo, per sentire ciò che si deve fare. Pur troppo... capisco: il vedersi... diventa ogni giorno più difficile. E lo dici, così?... Ma io... Ma tu... tu sei come gli altri. E Giacomo, invece del solito ghigno beffardo, ebbe un sorriso tristo, doloroso. Sì, cara contessa; è tempo di finirla. Non le pare? Un buon colpo di revolver e buona notte.
Vidi il capitano avanzarsi con un revolver in mano verso alcuni de' più riottosi. Chi disubbidisce lo uccido, egli disse con un piglio che non lasciava il minimo dubbio sulla sincerit
Se ti vedessi in procinto di tirarti una pistolettata, tutti mi riconoscerebbero il diritto di strapparti la pistola di mano anche a costo di fare a legnate. Le tue relazioni con quella signora, sarebbero a te ed agli altri più nocive che un colpo di revolver. E ti disarmo. Ho conosciuto quella signora due anni fa, quando venni a Ginevra per la gara del Tennis. Una riunione a invito sceltissima.
Due guardie, rimaste in sala, comparvero. «Come vidi le guardie in casa mia, corsi al tavolo, afferrai il revolver, l'uccisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . «Questo direi ai signori giurati, se l'avessi uccisa.
Poco tempo dopo, i giornali portarono la notizia che una ragazza della Fabbrica dei Tabacchi si era suicidata per amore: era proprio la ragazza vestita da studente vagabondo, allegra e chiassosa come un passerotto. Coi suoi risparmi era andata a comprare un revolver, dicendo che doveva regalarlo a un cugino.
E non attesi che il sole si levasse alto su l'orizzonte. Sul tavolino della mia camera luccicava il revolver, accanto ad esso era spiegato il foglio nel quale, all'arrivo, avevo scritto in fretta poche parole con cui chiedevo perdono a mia madre dell'atto disperato che stavo per compire.
Tutta la sua prima gioventù era stata una tempesta. Senza denaro, il demone del giuoco lo aveva afferrato per i capelli: una notte, perduta una somma fortissima che non poteva pagare, si era tirato un colpo di revolver al cuore per non sopravvivere alla vergogna; la palla, deviando, gli aveva fracassato l'omero.
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