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La marchesa Polissena si morse le labbra. Ma ella non era donna da turbarsi per così poco. Sia pure; diss'ella; imposto, perchè vi è stato offerto come il corrispettivo di certi perdoni. Accettando i benefizi che v'erano annessi, dovevate accettarne le condizioni. Le ho io violate? gridò Gino.

Ditemi che cosa volete voi. Che facciate delle scuse ad Elena. Delle scuse? L'ho io dunque offesa così gravemente? Sia grave o leggera l'offesa, replicò Polissena, essa ebbe testimoni tre persone. E per caso, riprese Gino, dovrei fare delle scuse anche ai tre testimoni? Una buona parola andrebbe detta, sicuramente. La scortesia del vostro comando ad Elena può averli feriti benissimo.

Impossibile, avete detto? gridò ella. E perchè? Perchè, cara mia, non c'è nulla di grave contro essi. E l'inchiesta? L'inchiesta è insufficiente. Non è riuscita a mettere in chiaro che certi discorsi fossero proferiti da alcuno di loro. Se c'è un filo da seguire, esso conduce dove non vorremmo andar noi, cioè a vostro genero. Strano! esclamò Polissena. Mi avevate pur detto!...

Seppi così che il conte Jacopo Malatesti era morto in esilio volontario a Vienna, mentre il marchese Paolo era divenuto senatore del regno d'Italia; seppi che la marchesa Polissena Baldovini viveva tuttavia, facendo la bella, come poteva.

Se non è che questo, disse Gino, appena un sospiro del conte Jacopo gli permise di collocare una frase nel discorso, ci sono sul Modenese altre ricchezze e maggiori di quelle che può darci un'alleanza coi Baldovini. Ci verremo, alle maggiori, ci verremo; rispose il conte Jacopo. Ma i Baldovini non hanno solamente ricchezze; hanno credito. La marchesa Polissena è potente a Corte.

Molti avevano fatto pazzie, o semplicemente sciocchezze, per la marchesa Polissena. Doveva il conte Gino astenersi da quella di accompagnarla fino a Torino, dove la chiamavano alcuni interessi di famiglia? Ella, in fondo, lo aveva quasi rapito. Da principio si era parlato di giungere fino alla frontiera parmense, donde la marchesa avrebbe proseguito da sola il viaggio. Ma l

Ah contessa, contessa! Ecco un ragionamento molto leggero, che non fa onore alla vostra perspicacia. In primo luogo voi non potevate per nessuna ragione esser la vittima, nella vendetta della marchesa Polissena vostra madre, e la degna signora vi conosceva benissimo per sangue suo, scegliendovi come istrumento.

Il ministro aveva proferita l'ultima frase col piglio di un uomo che non ha altro da aggiungere. «Ho detto» esclamavano in questo caso gli antichi oratori. Polissena indovinò il salmo dell'antifona, ed abbassò prontamente le ali. Non poteva sperar nulla per le sue vendette da Paolo, poichè in lui il ministro prendeva il posto dell'amico. Pazienza, mia bella signora, pazienza!

Il conte Nerazzi era un bel giovane; ma, per mentire in qualche modo al suo nome di famiglia, aveva i capegli rossigni. La marchesa Polissena, che li aveva di un bel biondo acceso, poteva amarli rossigni? Le simpatie, ordinariamente, non si formano sulla somiglianza del colore, e meno ancora nel sopraccolore, che rende più intensa una tinta e la esagera. Il marchese Landi era bruno, ed anche leggermente più stupido del Nerazzi: due ragioni forse per piacer di più alla marchesa Polissena. Qui il conte Gino faceva un gran torto a se stesso, poichè egli era piaciuto prima di quell'altro alla dama, e il suo ragionamento gli portava per conseguenza legittima un grado maggiore di stupidit

Le violette di Parma erano a mala pena appassite; ma la marchesa Polissena non aspettò che il mazzolino fosse disseccato, par confidarne un altro a quel grazioso custode. Ne ebbe due, ne ebbe tre, ne ebbe quattro, nello spazio di un mese, il conte Gino Malatesti; a mezza primavera, quando le violette cessarono, ne aveva gi