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Aggiornato: 16 giugno 2025


Ah, è vero! aveva risposto Emilio Landi. Ricordo la cosa, molto confusamente, per altro. Ve la spiego io. L'ultima di casa Landi fu Donna Polissena, che entrò nella famiglia dei Doria Pamfili, di Roma, e furono questi che ereditarono ogni cosa. Polissena! Come me! aveva esclamato la marchesa. Gi

La marchesa Polissena aveva guardato attentamente sua figlia; ma la pupilla di Elena era serena, nessun pensiero sottile luccicava l

Polissena rispose alla preghiera con un gesto di minaccia, e si ritirò verso le stanze di sua figlia, mentre egli muoveva verso l'uscio di casa, per andare in traccia di due padrini. Le ricerche non furono lunghe, difficili. I due primi gentiluomini a cui si rivolse il conte Gino Malatesti accettarono subito, recandosi ad onore di servirlo.

Il conte Gino lasciò passare quella raffica; poi freddamente rispose: Mi duole di dovervi avvertire che in casa mia faccio quel che mi pare, e di quel che faccio non rendo conto a nessuno. È il vostro programma? Decoratelo pure di questo nome: è il mio modo di vedere. Non è il mio, e avrete la compiacenza di cambiarlo; rispose la marchesa Polissena.

Il sangue non è acqua, e la contessa Elena Malatesti non per niente era figliuola di Polissena Baldovini. Ritorniamo a Don Pietro.

Ahi, Polissena! E questo doveva udire dei fatti vostri il povero confinato di Querciola? Doveva egli vedersi dimenticato, trascurato a tal segno? Certamente egli non si aspettava di sapere che aveste preso il lutto, o che vi foste confinata in villa, inconsolabile come Calipso per la partenza di Ulisse. Simili prove di affetto e di dolore veemente si lasciano alle Immortali, che possono far ciò che vogliono, senza badare a rispetti umani, e mandando a quel paese la piccola diplomazia di societ

Anche quando l'amore ci è uscito dal cuore, l'amor proprio rimane; replicò Polissena. Non offendete l'amor proprio di una donna, quando ne avete perduto l'amore. Ma questi sono discorsi vani, tra noi; soggiunse la bella sdegnata. Ditemi piuttosto che cosa contate di fare. Io? chiese Gino, maravigliato. Nulla. Ma vostra moglie è offesa.

Il biglietto del conte Gino alla marchesa Polissena diceva brevemente così: «Saprete il caso che mi è toccato. Mi mandano a confine in Querciola, alle falde del Cimone, fuor del consorzio dei viventi... peggio ancora, lontano da Voi. Ne perderò la ragione; non mi parr

Doveva esser bella, in quell'ora del sonnellino d'oro, la regina de' suoi pensieri. Perchè ella certamente riposava ancora, in quel punto. Era una gran dormigliosa, la marchesa Polissena. E doveva star così bene, con la sua cuffiettina di pizzi, donde sbucavano le ciocche de' capegli dorati! Gino ripensò allora i bei giorni, le ore liete, e quella famosa corsa in Piemonte, che sicuramente aveva fornito al sospettoso governo ducale uno dei più forti capi d'accusa contro di lui. Strana donna, la marchesa Polissena! Curioso impasto di paure e di audacie, di rispetti umani e di cieche temerit

Soltanto, come tutti i timidi, potrei avere un giorno il coraggio della disperazione. Così avevano chiacchierato, negli intervalli della quadriglia; così avevano seguitalo a chiacchierare argutamente, nell'angolo di una sala, dove la marchesa Polissena teneva corte d'amore. E quel dialogo, dond'era incominciato il suo romanzo con la bella marchesa, lo rammentava egli allora, dopo quattro anni.

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